Riforme costituzionali: ”combinato disposto tra nuova legge elettorale, riforma del Senato e del Titolo V danno il segno di una nuova stagione autoritaria.”

“Riduzione del pluralismo politico, liste bloccate, cancellazione del potere di scelta dell’elettore, enti e organi costituzionali non più elettivi: ricette ispirate al criterio dell’esclusione”

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2aprile 2014 da Monica Sgherri

Il combinato disposto fra le cosiddette riforme costituzionali e la proposta di nuova legge elettorale di Renzi disegna un quadro nel segno di una deriva autoritaria, che si situa nel solco di provvedimenti presi negli ultimi anni, accelerando e peggiorandoli nettamente.

costituzioneLa legge sulla riforma del titolo V e del Senato non può essere affrontata e capita senza vederne il rapporto stretto con la nuova legge elettorale. E’ una premessa obbligatoria. Va ricordato che la Corte Costituzionale ha sanato un vulnus gravissimo alla democrazia annullando il porcellum.

Ebbene l’italicum ripresenta peggiorandoli gli stessi profili di incostituzionalità della legge bocciata: un abnorme premio di maggioranza e soglie di sbarramento che potrebbero dare ad una forza politica anche con il 20 – 25 % dei voti la maggioranza assoluta dei seggi alla Camera (da qui il pericolo che vediamo nel mono cameralismo se legato ad un possibile scenario del genere), impedendo quindi la rappresentanza del pluralismo politico, nonché liste bloccate (senza il voto di preferenza) riproponendo un parlamento di “nominati” negando ancora una volta il potere di scelta dell’elettore.

Tutto ciò in continuità, però con un peggioramento progressivo, con la china che si è assunta dall’introduzione del maggioritario nel 1993, delle successive soglie e premi di maggioranza fino alle liste bloccate, che consegna a pochissimi la scelta della “casta” politica! Da una parte quindi una proposta di legge elettorale che peggiora il cosiddetto Porcellum, dall’altra un Senato non più eletto dal popolo ma camera di secondo grado (“un orpello senza peso” come definito dal Presidente Rossi), che esprime pareri (ma ci ricordiamo che fine e che peso hanno avuto i pareri obbligatori ma non vincolanti dei consigli di quartiere rispetto agli atti del comune?!). Una camera, questa, composta con quote fisse che non tengono conto del diverso peso demografico delle Regioni. Un ritorno al centralismo statale sottraendo competenze alle Regioni invece di proporre un riordino serio delle competenze evitando sovrapposizioni e definendo bene limiti d’azione. Il segno vero della proposta di riforma nel suo complesso è la riduzione quindi degli spazi elettivi. Prima con l’obbligo di esercizio in forma associata dei servizi essenziali per i Comuni sotto la soglia di 5000 abitanti, poi lo scioglimento dei consigli provinciali (e non delle province!) e ora il Senato trasformato in un non meglio identificato ente di secondo grado. E’ evidente che qualora anche un a forza politica riuscisse a eleggere una sua pattuglia alla Camera o in Consiglio Regionale non supererebbe la mannaia non entrando in nessun ente di secondo grado!. Una “grande contro riforma”  che non aumenterà l’efficacia istituzionale, che a cerchi concentrici riduce gli spazi di democrazia, punta a un bipartitismo e all’interno di questo a rispondere ad un unico “capo”.

E’ una svolta dal sapore autoritario, un riforma basata sul criterio dell’esclusione.

Una riforma fatta in nome di un risparmio dei costi della politica ma che con quest’obbiettivo non c’entra nulla. Riforme ci vogliono, ma di segno ben diverso. Invece di cavalcare strumentalmente l’onda dell’anti politica per trasformare il Senato in un guscio vuoto, si affronti veramente la questione dei costi della politica: si riduca il numero di componenti di camera e senato, rivediamo le loro indennità legandole da subito allo stipendio del comune capoluogo, Roma (come proposto per i consiglieri regionali), ma nel contempo si faccia un riordino serio di competenze fra Stato e Regioni ripulendo dal conflitto di competenza ma senza tornare – come è la direzione della riforma – a un nuovo centralismo statale, che nulla promette di efficace ed efficiente visti i clamorosi errori, mancanze e vuoti che ha dimostrato in questo ultimo decennio (dall’assenza di una politica industriale nazionale, ai danni della riforma Fornero, solo per ricordarne alcuni)

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