Il Seminario intensivo di grammatica dell’azione diretto da Massimiliano Cividati ha portato in scena “Quelli che restano, un’indagine per azioni”.
28 Luglio 2019, di Simonetta Ottone
Un gruppo di giovani allieve ed allievi, che si cimentano con lo studio del teatro.
Iniziano parlando di Beckett, di un Godot che sarebbe arrivato. Prima o poi.
Si va in altalena con l’emotività, che sale e scende, in un linguaggio ben coordinato tra gesto, parola formale e gergale, ritmo ponderato.
Si aspetta, poiché l’essenza del teatro, e forse della vita, è l’attesa. C’è rabbia e impazienza, ma ogni situazione riporta alla necessità di saper attendere.
Ad un certo punto un ragazzo si mette alla tastiera e pigia i tasti con dolcezza, snocciolando una melodia bella e melanconica, per musica e parole. E’ un racconto, mesto e orgoglioso.
Ricorda sua nonna che gli parlava di una storia di miniere, in un paese in Sardegna cresciuto intorno ad una miniera, e al pane, pieno di polvere e dolore che si metteva in tavola.
“Quello che si toglieva da una parte, si metteva dall’altra”, dice suonando e raccontando, poiché “ognuno piange alla sua maniera”.
Il cerchio si chiude con quel bacio tanto atteso, nell’attesa del ritorno, reale o immaginario che sia, quando si è sopravvissuti a tutto, e soprattutto a quell’attesa, ogni giorno ricamata.
Massimiliano Cividati, regista e formatore di ventennale esperienza, alla mia domanda “Cosa hai voluto lasciare ai ragazzi in questi 5 giorni di lavoro?”, risponde che ritiene importante far capire che sul palco non ci si può e non ci si deve improvvisare, perché è un lavoro di professionalità e di cura quotidiana.
Poi aggiunge: “non si fa teatro perché ci manca qualcosa, perché vogliamo emozionarci. Si fa per emozionarci insieme a chi ci guarda”.