E’ sempre più evidente la ragione per la quale i vertici di Confindustria chiedano ripetutamente al Pd di proseguire verso lo smantellamento della Carta Costituzionale e il ridimensionamento della stessa Corte che con i suoi pronunciamenti alimenta contraddizioni e rallentamenti nella applicazione delle politiche di austerità.
8dicembre 2017 da Federico Giusti
Sarà per questa ragione che la sentenza n.252 del 2017 (appena uscita) della Corte Costituzionale non ha avuto lo spazio che avrebbe meritato, non ci sono titoloni sulla stampa , non è la notizia di apertura dei telegiornali. Eppure questa sentenza dimostra eloquentemente che il pareggio in Bilancio inserito in Costituzione e negli Enti Locali meriterebbe non solo la giusta attenzione mediatica ma dovrebbe essere al centro delle rivendicazioni\iniziative contro le politiche di austerità.
Una sentenza di Cassazione non determina ovviamente la cancellazione di una legge, del resto neppure la sconfitta del Pd al Referendum di un anno fa ha indotto politica e sindacato (e sul silenzio di quest’ultimo ci sarebbe da spendere fiumi di inchiostro) a tornare indietro cancellando la Legge Del Rio. C’è un solo passaggio su cui la Corte focalizza l’attenzione, quello per cui Palazzo Chigi dovrebbe, con apposito Decreto, dettare delle regole per lo scambio tra Regioni ed enti locali assegnando allo Stato il compito di intervenire al posto delle Regioni. La Corte dice chiaramente che il Parlamento deve votare delle Leggi e non affidarsi ai tecnicismi dei Decreti se vuole imporre tetti alla spesa degli enti locali ma non c’è da stare tranquilli, con l’attuale (idem con la futura?) composizione parlamentare, il partito unico delle politiche di austerità puo’ dormire sonni tranquilli.
Il pareggio di bilancio in Costituzione è una aberrazione, la Corte non dice tuttavia che i vincoli di spesa vanno rimossi, dice solo che l’indebitamento delle Amministrazioni ha bisogno di essere regolato non da Decreti ma da Leggi approvate in Parlamento.
La questione non è solo formale ma di sostanza perchè attualmente tra Regioni e Enti Locali, quando devono finanziare investimenti, ci sono intese che hanno come obiettivo il pareggio di bilancio, poi se le Regioni sono in ritardo dovrebbe intervenire, al posto loro, lo Stato, percorso che la sentenza della Corte non mette in discussione. Resta una gran confusione legata soprattutto all’utilizzo degli avanzi di amministrazione, tuttavia la sentenza della Corte la dice lunga sulla legittimità delle politiche di austerità, apre insomma alcune contraddizioni che la assenza di iniziativa politica e sindacale non riesce a sfruttare. Analogo discorso vale per le partecipate di Regioni ed enti locali che sembrerebbero avere un passivo\indebitamento pari a 108,2 miliardi di debito, 38 dei quali solo nelle società interamente pubbliche.
E’ da poco uscito una rapporto della Magistratura contabile sulle Partecipate che tuttavia fa capire come l’indebitamento di queste Aziende sia in forte calo, in rosso chiudono 100 su 2731 aziende, di conseguenza stiamo per s\vendere aziende sane, un po’ come accaduto con le privatizzazioni a fine anni ottanta. Le società indebitate sono solo una minoranza e nel giro di 4\5 anni le società in rosso sono dimezzate, aziende che poi, stando al censimento della Corte, sarebbero assai piu’ numerose, ne hanno contate ben 7315 , un terzo delle quali attive nei servizi pubblici, a cui aggiungere società che assicurano alla Pa beni e servizi strumentali. Da questi numeri allora si capisce quale sia l’obiettivo:attaccare e ridimensionare la Pubblica amministrazione ridimensionando le aziende partecipate e destinando ad una mobilità incerta e confusa il personale.