Pubblicato il 6 maggio 2014 da systemfailureb di Cinzia Arruzza
Qualche giorno fa Paola Bacchiddu, responsabile per la comunicazione della lista L’altra Europa con Tsipras ha postato una propria foto in bikini, con il culo seminudo ben in evidenza in primo piano, accompagnata dal seguente commento: “Ciao è iniziata la campagna elettorale e io uso qualunque mezzo. Votate l’Altra Europa con Tsipras”. Come immaginabile il post ha provocato una serie di reazioni disparate: dalla più comune, l’ammiccamento, ironico o meno, felicemente espresso dalla frase ‘quasi quasi un pensierino ce lo faccio’, all’indignazione delle donne e di qualche uomo a sinistra che si sono sentiti offesi dal post, ai commenti beffardi da destra. Commenti in qualche misura fondati, perché è in fondo vero che se Paola Bacchiddu fosse stata un’esponente di destra, la coscienza di sinistra del paese si sarebbe unita in un coro di condanna dell’uso strumentale delle donne e del loro corpo, magari con qualche scivolone misogino del tipo: ‘la destra candida solo troie, invece di candidare donne capaci.’
La reazione più sorprendente, però, è quella di un gruppo di femministe, che hanno deciso di rispondere alle polemiche lanciando una campagna web dal titolo: ‘Ce lo chiede l’Europa: “il corpo è mio e ci faccio quello che voglio io”’, fustigando il medievale moralismo dell’arretratissima Italia, che si scandalizza appena vede una coscia nuda: ‘Non ci può essere alcuna imposizione di ruolo normativa che leda il diritto all’autodeterminazione ed è autodeterminazione anche quando trasgredisci l’ordine morale di chi stigmatizza le altre o al massimo le guarda con compassione se mettono in piazza un po’ di carne autodeterminata.’
A essere generose mi verrebbe da dire che le proponenti di questa campagna di solidarietà con Paola Bacchiddu, tra cui spicca il nome di Angela Azzaro, stanno prendendo un grosso granchio. A essere più maliziose, direi che si stanno arrampicando sugli specchi per difendere l’indifendibile. Non so in quale paese abbiano vissuto sinora le autrici di questo testo, ma il fatto è che qui il moralismo non c’entra proprio nulla. Presentare l’Italia come un paese in cui ci si scandalizza come delle suorine in un convento appena una tetta trapela sotto la maglietta è semplicemente ridicolo. È ormai da qualche decennio che siamo tutti e tutte bombardati da immagini di tette, culi, labbra, vagine, farfalline, caviglie, cosce, e ogni tanto persino peni, per gentile concessione. La comunicazione è talmente saturata di sesso e sessualità che ormai le parti anatomiche circolano come significanti separati dal corpo a cui teoricamente dovrebbero appartenere, sono mezzi di scambio e comunicazione, contribuiscono a costruire e gestire affetti, e partecipano al generale feticismo delle merci. Quello di cui alcune e alcuni si sono scandalizzati non è l’esposizione di un bel corpo seminudo. L’appello all’autodeterminazione c’entra come i cavoli a merenda. Quello di cui ci si scandalizza casomai è l’ormai evidente divorzio tra mezzo e contenuto, divorzio del resto reiterato dalla stessa Bacchiddu in un altro post del 2 maggio: ‘“siete convinti che i contenuti contino qualcosa, ma non contano un cazzo. È solo tutta pubblicità” (cit.) E niente. Lo amo da 20 anni’. Che si tratti di pubblicità peraltro è confermato dal fatto che la foto è stata scattata nel 2011: il post è un atto deliberato e a freddo di marketing pubblicitario. Da questo punto di vista, ogni paragone tra questo post e casi di uso ironico e antimoralista del corpo nudo come forma di lotta è del tutto infondato. Non stiamo parlando qui dell’esposizione antimoralista del corpo nudo nei movimenti queer, dell’uso provocatorio di un linguaggio corporeo da parte di gruppi come Pussy Riot, ma della strumentalizzazione di una parte anatomica ai fini di una campagna elettorale, in cui mezzo comunicativo e contenuto non hanno niente in comune.
Il problema non è se Paola Bacchiddu possa fare o meno quello che vuole del proprio corpo: del suo corpo faccia quello che le pare. Non sono però così convinta che Paola Bacchiddu possa altrettanto legittimamente fare quello che le pare della sinistra.
E a questo punto una domanda si pone: l’uso di un culo come di un feticcio atto a generare una determinata reazione emotiva (l’arrapamento, per essere espliciti), secondo la medesima logica per cui un culo nudo sul cofano di una macchina contribuisce a generare desiderio per la merce in questione (la macchina), ha qualcosa a che vedere con ‘l’altra Europa’? Se sì, sarei curiosa di sapere in seguito a quale discussione e processo di elaborazione collettive, Paola Bacchiddu si è sentita legittimata a fare uso del suo corpo per generare desiderio per la lista Tsipras. Sarei anche curiosa di sapere se in questo processo di discussione ed elaborazione collettive è stata analizzata la connessione tra questa scelta e un progetto su scala europea di autodeterminazione della donna e del suo corpo. Forse la lista Tsipras vuole suggerire che per autodeterminarci dobbiamo imparare a considerare le nostre parti anatomiche come mezzi, strumenti, o persino merci come suggerisce il post della Bacchiddu? Ma se è così, davvero si fa fatica a capire in cosa l’elaborazione sulla questione del genere e del corpo della lista Tsipras si differenzi dagli studi di marketing o dal feticismo generalizzato del capitalismo neoliberista. “Ce lo chiede l’Europa”, scrivono Angela Azzaro e le altre. Si, infatti, ce lo chiede proprio questa Europa, quella del neoliberismo, della crisi, e delle politiche di austerità. Non vorrei che la lista Tsipras serva alla fine non tanto a costruire un’altra Europa, ma casomai a costruire questa Europa: sentendoci un po’ più liberati e meno moralisti.