17settembre 2018 da coordinamento del gruppo insegnanti di geografia aut organizzati – Giga
Nell’ambito del dibattito apertosi sui media in questi ultimi anni a seguito dell’espulsione e della contrazione dell’insegnamento della geografia nella Scuola Secondaria di Secondo Grado ed al quale ha contribuito anche anche il Giga, proponiamo questo significativo contributo del Prof. Mauro Varotto, docente di Geografia all’Università di Padova.
L’autore sollevando la questione dell’italica ignoranza in merito ai luoghi, nella fattispecie le capitali estere, in realtà pone l’accento sull’importanza della geografia come strumento di formazione di futuri cittadini consapevoli. Fondamentale funzione formativa che la penalizzazione subita dalla disciplina all’interno del sistema nazionale di istruzione, sta inesorabilmente vanificando. Stiamo vivendo un duplice drammatico paradosso: se da un lato le nostre vite si confrontano quotidianamente con nozioni e concetti geografici dall’altro siamo ormai assurti a cittadini del “villaggio globale”, senza avere né conoscenze geografiche elementari di base, né tanto-meno gli strumenti per comprendere le dinamiche e gli eventi della nostra società globalizzata. Fenomeni come i cambiamenti climatici, le crisi economiche, gli aumenti degli squilibri ed i flussi migratori posso essere compresi in modo approfondito solo tramite l’approccio di studio organico tipico della geografia. Disciplina, come giustamente indica Varrotto, complessa che studia i grandi fenomeni contemporanei e le loro correlazioni superando quella nostalgica visione che la relega a mero esercizio mnemonico rispetto a fiumi, monti e capitali. Consapevoli del fatto che il cammino da percorrere non sarà né breve né semplice per invertire la rotta, tuttavia se almeno si fosse a conoscenza di queste nozioni già saremmo sulla buona strada….
Di Prof. Mauro Varotto
Geografia, la lezione di Tegucigalpa: non sappiamo più citare le capitali.
Globi e mappamondi sono tra gli oggetti di arredo più affascinanti di studi prestigiosi. La geografia è uno splendido soprammobile. Ma è questo il suo destino? Sembrerebbe di sì, a giudicare dalla drastica riduzione delle ore d’insegnamento di questa materia dopo la Legge Gelmini.
- Nella scuola primaria due ore settimanali di geografia;
- nella scuola media, 9 ore per italiano, storia e geografia quasi sempre ripartite a scapito di quest’ultima;
- nei licei c’è la «storia e geografia», 3 ore a settimana nel biennio, dove la storia è sempre privilegiata;
- negli istituti tecnici si va dalle 3 ore nel biennio a indirizzo economico ad un’ora al primo anno del tecnologico;
- nei professionali un’ora.
- In ambito universitario negli ultimi dieci anni si è avuta una drastica contrazione di docenti, cattedre e corsi di geografia: la perdita di rilevanza della materia si associa così alla diminuzione di competenze di chi la insegna, ed ecco spiegato perché si privilegiano altre materie in cattedre miste.
Estromessa dalla scuola ma al centro delle nostre vite
Eppure, fuori dalla scuola la geografia è ovunque: nei pacchetti turistici, nelle pubblicità spesso ingannevoli di mele, prosciutti e formaggi, nei navigatori di auto che si guidano da sole, nelle rotte dei migranti, nelle commodity chains di merci che attraversano il mondo a nostra insaputa (dov’era l’albero da cui proviene il foglio su cui è stata stampata l’edizione cartacea di questo articolo?). La geografia è negli smartphone che registrano i nostri spostamenti quotidiani: senza longitudine e latitudine, le informazioni su ciò che facciamo sarebbero inutili ai gestori di big data. Come mai un sapere così pervasivo nel mondo contemporaneo, in cui abbiamo a disposizione il globo mentre difendiamo strenuamente i luoghi, sta scomparendo dall’insegnamento?
Direi essenzialmente per tre ragioni: in primo luogo perché da molti è ancora considerato un bagaglio mnemonico noioso e superato (non serve conoscere la capitale dell’Honduras, tanto me la trova Google! Anche se nessuno si sogna di togliere la matematica perché esiste la calcolatrice…); in secondo luogo perché questa materia è stata (e a volte è tuttora) insegnata male e controvoglia da insegnanti poco preparati. Ma c’è una terza ragione: un cittadino poco consapevole del complesso mondo in cui viviamo è facilmente maneggiabile. In fondo, il motivo della progressiva scomparsa della geografia è anche politico, lo stesso — stavolta di segno inverso — che ha portato alla sua introduzione con la Legge Casati nelle scuole del neonato Stato unitario: la necessità di alfabetizzare le masse al nuovo ordine nazionale, oltre che difenderlo da bravi soldati in grado di leggere le mappe in guerra.
Il cittadino consapevole è di ostacolo alla globalizzazione neoliberista
Allora la geografia serviva «a fare la guerra», come disse il geografo Yves Lacoste, oggi l’ignoranza geografica serve ad un altro genere di guerra, quella commerciale della globalizzazione a cui non servono truppe informate, ma consumatori raggiungibili e manipolabili. Dare nuovo slancio a questa disciplina è missione che va oltre l’ambito scolastico: esige iniziative di comunicazione, formazione continua ed engagement pervasive, se si vuole mettere al riparo il pubblico da facili manipolazioni sulla provenienza dei cibi che mangiamo, sul senso dei luoghi in cui viviamo, sulle opportunità immense (e non solo sulle paure) generate da rotte e flussi che vanno governati, non bloccati. E senza dimenticare Tegucigalpa, la capitale dell’Honduras, da cui magari proviene il caffè o la banana della nostra colazione.