La cuRtura dell’ospitalità a Livorno. Un confronto. Di Raffaele Palumbo.

29luglio 2014

raffaele palumboQuest’estate ho passato 4 giorni in una città, giusto un week end lungo. Circa 160.000 abitanti, città portuale da sempre, un bel lungomare con le palme e immobili in stile Liberty. In questa città tutti si lamentano che i turisti sbarcano lì e se ne vanno subito verso le località più famose.
Le cose che Cagliari ha in comune con Livorno si fermano qui, o quasi. Sì, certo, 4 giorni sono pochissimi per capire davvero una città, per rendersi conto di pregi e difetti, di eccellenze e malfunzionamenti. Però qualcosa vorrei dirla.

Una recensione Tripadvisor su un noto locale di Livorno:
Il banco di pesce all’entrata attira l’attenzione dei clienti in realtà il servizio è pessimo il personale è mal vestito e incompetente. L’ambiente poco curato e la cucina di scarsa qualità. Ho ordinato 1 gnocco all’orata con pomodori crudi e pieno di lische, il fritto pesante e pieno d’olio, il vino un’altra nota dolente. Chiedo un Gewuztraminer, mi portano un vino tedesco e non altoatesino dal sapore acidulo paragonabile a un vino da cartone al prezzo di 15 € la bottiglia. Cattiva esperienza. Sconsigliato!”

Il lungomare cagliaritano, per esempio. Via Roma. Per semplificare e banalizzare, potremmo dire che svolge insieme le funzioni di via Grande (portici, attività commerciali) e del viale Italia. La domenica tutti i negozi sono aperti, sia i grandi franchising che le piccole botteghe, che siano o no in programma arrivi di grandi navi passeggeri. Qualche scultura contemporanea non banale, belle soluzioni per il passeggio. Dopo cena c’è luce, gente in giro, locali aperti – non il buio e la paura come in via Grande.

DCF 1.0Entriamo in un posto che si chiama “Sapori di Sardegna”, in una piccola traversa di via Roma. Il proprietario ci accoglie offrendoci una fettina di Fiore Sardo. Ci chiede da dove veniamo. Ci racconta di Cagliari. Ci parla dei suoi formaggi. Ci dice che lui tratta vini di qualità di piccoli produttori. Lo metto alla prova, gli chiedo se ha il Renosu bianco di Dettori. È amico dei Dettori, mi dice, mi fa vedere lo scaffale dei suoi vini. Persona squisita, gentile, esperta, amante del proprio lavoro e del territorio in cui vive.
A 100 metri hanno un altro punto vendita dove propongono aperitivi e apericene. Ma non il solito pane con le salsine o riso freddo o frittate: qui salumi e formaggi e sottoli, ben presentati, ottime materie prime, bicchieri adeguati ai vini, che sono buoni e non le bottiglie da supermercato.
Cagliari ha almeno 2 ottimi ristoranti, Luigi Pomata e Dal Corsaro. Andiamo a cena da Pomata, di giovedì. Tonno, ostriche, crudo, e poi pasta, pesce, e tutto il resto. Una grande cucina equilibrata, forse non troppo autoriale ma con pesce fresco e non di allevamento, ottime cotture, e soprattutto con una sala impressionante: giovani camerieri efficientissimi, veloci, preparati, attenti, cordiali senza essere invadenti, nonostante che tutti i tavoli fossero pieni e ci fosse gente in piedi ad aspettare il turno; lo chef sempre presente che gira tra i tavoli. A Livorno non abbiamo situazioni paragonabili a queste.

La risposta del ristoratore livornese alla recensione su Tripadvisor:
“Come le ho suggerito anche nella email che le ho inviato privatamente, le consiglio di frequentare ristoranti a 5 stelle superiore dove nel sugo all’orata non ci saranno sicuramente lische, dove il suo palato di navigata “sommelier” troverà sicuramente di che essere appagata ed infine dove il servizio sarà impeccabile. A non rivederci !!!!”

cagliariLa parte di Cagliari più antica e di maggior fascino è il quartiere Castello. Possiamo dire che assolve la funzione della Venezia livornese? No, ma diciamolo, anche se chiaramente è un’altra cosa. Pieno di splendide cose da vedere, di musei, di spettacoli all’aperto. Pieno di locali, alcuni molto carini. Nelle sere d’estate si riempie di gente. Non so se gli abitanti si lamentino del rumore per la strada o se considerino questo disturbo il prezzo da pagare allo sviluppo economico della città e del quartiere. So che gli abitanti della Venezia livornese si lamentano.
Siamo capitati al Castello durante una Notte Azzurra: tutti i negozi sono rimasti aperti fino a mezzanotte, gli eventi in programma erano di buono o ottimo livello, i cagliaritani e i turisti affollavano le strade e i locali.
A Cagliari gli autobus sono comodi, silenziosi, puntuali. Alla fermata un tabellone a led segnala l’orario di arrivo dei mezzi. Questi autobus sono molto utilizzati dai cagliaritani e dai turisti, non solo dagli extracomunitari. Mi è parso che gli utenti obliterassero il biglietto.
A Cagliari non ho visto motorini (sì, quelle cose inquinanti e rumorose).
A Cagliari non sono riuscito a trovare una sola cacca di cane per terra. Neanche una. A dirla tutta, ho visto in giro pochissimi cani.
A Cagliari i semafori comunicano ai pedoni quanto tempo hanno a disposizione finché il giallo si spenga e arrivi il rosso.

fortezza nuovaUna recensione Tripadvisor su un altro noto locale di Livorno:

“Il titolare si è reso arrogante e scortese al momento di una contestazione sul conto. è stato messo in conto vino non consumato per 9,00 euro, abbiamo bevuto solo acqua. alla richiesta di precisazioni su tale voce il titolare ha inveito contro di noi in maniera arrogante e scortese, dicendo che per 9,00 euro a lui non cambiavano la vita, come se avesse ragione.”

In generale a Cagliari abbiamo riscontrato ovunque un’attenzione speciale per il turista. Cortesia, disponibilità, professionalità, cultura dell’ospitalità, sempre un sorriso.
Non è vero che a Cagliari ci sono pochi turisti, come si lamentano i commercianti. Ce ne sono parecchi, invece, almeno in confronto di Livorno: per dire, al ristorante eravamo circondati da stranieri. Certo, sono pochi se paragonati a quello che la città può offrire in termini di bellezza e di servizi. E di disponibilità e professionalità degli operatori, di consapevolezza del territorio.
Nicola Perullo, il nuovo assessore al Turismo, conosce meglio di me queste cose. Ha di fronte a sé una città che ha un duomo neanche minimamente paragonabile a quello di nessun’altra città toscana, un centro (via Grande) tra i più brutti d’Italia, pochi monumenti e – come nel caso delle Fortezze – non accessibili. E che, pur avendo altre cose belle e buone da poter offrire, finora non è riuscita a trovare degli spunti per “vendere” la città, a inventarsi dei progetti che possano collaborare a riscrivere un’identità livornese, quantomai in crisi negli ultimi anni – un’identità che non sia solo Macchiaioli/Mascagni/Modigliani/Vernacoliere.
In compenso la città sa proporre strade sporche, muri pieni di scritte, un lungomare affogato di automobili, motorini costantemente in controsenso, ambulanze che urlano a tutte le ore della notte. Una città autoreferenziale (“Dé, ma come ci si starà bene a Livorno?”) che pensa di bastare a se stessa, che sopporta malvolentieri la presenza del turista ma che pure è convinta che Livorno debba avere una vocazione turistica. Che guai a pensare a qualcosa di diverso dal riso nero o dallo spaghetto allo scoglio, e chi se ne frega se sono buste congelate. Che conosce un contadino che fa il vino senza polverine. Che se piantano una palma rivuole la sua tamerice. Che non conosce l’educazione e la cortesia, la professionalità e l’ospitalità, e pensa che la livornesità esibita – quel misto di sboccato, trascurato, raffazzonato, ma col “cuore in mano” – sia un valore, e che il Vernacoliere sia il suo testo. Che pensa che magari basterebbe buttar giù un palazzo che interrompe una piazza per far diventare Livorno la città più bella d’Italia.

 

 

 

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