16luglio 2017 da da Antonio Piro e Federico giusti, Pisa
Dal sito ministeriale leggiamo: il Piano nazionale Industria 4.0 è l’occasione per tutte le aziende che vogliono cogliere le opportunità legate alla quarta rivoluzione industriale. Il Piano prevede tre principali linee guida:
- operare in una logica di neutralità tecnologica
- intervenire con azioni orizzontali e non verticali o settoriali
- agire su fattori abilitanti
Sono trascorsi ormai decenni da quando, con il governo di centrosinistra degli anni sessanta, furono avviati investimenti importanti in ambito tecnologico e produttivo. La logica di allora era quella di interventi statali e di investimenti in aziende pubbliche, ridurre l’orario di lavoro, l’esatto contrario di quanto avviene oggi.
Da anni, infatti, si regalano soldi alle imprese private, la stessa università diventa sovente l’ambito dove si fa ricerca con i soldi dei cittadini cedendo poi ai soggetti privati e alle fondazioni il compito di trarre profitti da questi percorsi. Non esiste indirizzo e controllo da parte dello Stato, anzi nell’Europa di Maastricht si agisce per obiettivi opposti piegando lo Stato alle logiche del profitto di impresa. Noi pensiamo che da qui bisogna partire se vogliamo invertire la tendenza.
Il capitalismo italiano è ormai strutturato per lo più sull’abbattimento del costo del lavoro e sulle delocalizzazioni, esistono in paesi come Romania, Serbia e Albania distretti industriali del made in Italy, molti altri, soprattutto nel settore tessile, si trovano nel sud est asiatico. Il concreto rischio che corriamo è spendere soldi dei cittadini per innovare imprese che poi de localizzino altrove la produzione e scelgano magari i paesi cosiddetti paradisi fiscali dove stabilire la sede delle imprese.
Nel cap. XIII de Il Capitale, Marx ribadisce che l’introduzione del macchinismo è servita esclusivamente ad aumentare il plusvalore del capitale (e non tanto -come voleva l’economia politica borghese- ad alleviare le fatiche degli operai). Non bisogna prendere Marx come la Bibbia o citarne alcuni passaggi per giustificare scelte politiche fallimentari come fatto dalla classe politica e dagli intellettuali di sinistra che hanno sostenuto i governi con il Pd che hanno distrutto gran parte delle tutele e dei diritti conquistati in decenni di lotta. Marx ha spiegato il motivo culturale del passaggio dalla manifattura alla grande industria, cioè delle cause di fondo che portarono alla rivoluzione tecnico-scientifica, che poi gettò le basi della rivoluzione industriale vera e propria. La manifattura esprimeva certamente un rapporto mutato tra uomo e uomo, ma l’industrializzazione esprime anche un rapporto profondamente mutato tra uomo e natura. La grande industria supero’ i limiti naturali che in qualche modo ostacolavano lo sviluppo su grande scala della produzione manifatturiera. Il capitale trionfò non solo sul lavoro ma anche sull’ambiente.
Per questo pensare che la tecnologia sia neutra è sicuramente un grave errore, anzi un pregiudizio ideologico per favorire i nuovi processi di modernizzazione industriale dentro i quali ritroviamo il lavoro gratuito e tutte le forme di sfruttamento intensivo.
La tecnologia innovativa può all’occorrenza diventare un fattore di controllo, basti ricordare che il Gps (sistema di posizionamento globale) è utilizzato anche per controllare la forza lavoro e organizzare turni e produzione eliminando i tempi morti che poi sono quei tempi che consentono al lavoratore di recuperare energie psicofisiche. L’automazione delle linee industriali è andata di pari passo con la costruzione di un nuovo sistema di relazioni sindacali e industriali improntato alla espulsione dei soggetti sindacali più conflittuali e procede con il testo unico sulla rappresentanza sindacale del gennaio 2014 (che vorrebbero estendere al privato) e con la negazione del diritto di sciopero.