25 agosto 2014 di Massimo Fanucchi.
Avevamo appena 22 anni, nel 1973, quando un “mascalzone anarchico individualista” di professione macellaio (mascalzone nel senso più buono del termine) in via Provinciale Pisana, a Livorno, ci consigliò di leggere l’unica opera di Max Stirner (pseudonimo di Johann Caspar Schmidt), apparsa per la prima volta a Berlino nel 1844: “L’unico e la sua proprietà”. Lo fece con un entusiasmo talmente contagioso che ci convinse a comprare quel libro e a leggerlo, ignorando che il fantasma di Stirner ci avrebbe poi perseguitato negli anni a venire, mettendo in dubbio le nostre certezze e le speranze di vedere, un giorno, un mondo sostanzialmente migliore.
Durante la sua lettura, la prima impressione fu quella che Stirner, forse sfruttando l’arte maieutica di Socrate, ci parlasse di qualcosa che “sapevamo” già. Oppure che ci avesse proiettato nell’inconscio collettivo teorizzato da Jung. La seconda, fu quella di trovarci di fronte ad un’opera geniale e immortale di un provocatore, lucido e nello stesso tempo pazzo, che parla di un uomo (definito l’unico, inteso come il caduco “io me”, non l’Io di Fichte, come egli stesso scrisse) per la cui esistenza, a mio parere, occorrerebbe un salto evolutivo, o un salto quantico, della specie umana. Nessuna meraviglia, quindi, quando nella copertina della terza edizione del 1991 (biblioteca Adelphi) leggemmo che Marx ed Engels gli dedicarono più di 320 pagine persecutorie della “Ideologia tedesca”, senza riuscire a confutarlo. Inizialmente, pensammo ingenuamente di liquidare le inquietanti riflessioni contenute nell’opera stirneriana relegandole tra le esagerazioni e le utopie, perché ad un ragazzo di 22 anni non si può togliere la speranza di un mondo nuovo, o quanto meno migliore di quello che ha trovato. Ma non avevamo fatto i conti con il fatto che la ferrea logica di Stirner, e la sua penetrante critica politica e filosofica, che spazia dai sofisti fino a Hegel, una volta appresa non ci lascia più in pace.
Era infatti lì a perseguitarci, quando vedemmo precipitare le rivoluzioni comuniste nell’oppressione e nella miseria di massa, prima del loro tramonto; oppure trasformarsi in un regime dominato da una nuova casta di mandarini, come in Cina. Lo spettro di Stirner era ancora lì, quando osservavamo (e osserviamo) che nell’economia liberista la ricchezza non raggiunge mai i poveri; che la libera concorrenza non è “libera” quando manca la materia per concorrere; che le politiche socialdemocratiche vengono spesso inquinate dalla deriva assistenzialista. Era ancora con noi, quando abbiamo visto consegnare il paese a Silvio Berlusconi, cinquant’anni dopo la resistenza antifascista e la liberazione. E’ sempre con noi, quando accendiamo la televisione e vediamo la faccia da salumiere di Matteo Salvini che rispolvera con successo il razzismo e la xenofobia, sempre utili per ingannare la gente e per distoglierla dai problemi reali. Senza parlare dell’accoppiata Beppe Grillo e Casaleggio Associati, su cui stendiamo un velo pietoso. Ma che cosa ci dice il fantasma di Stirner? Ci dice che siamo egoisti ma che non siamo capaci e non abbiamo il coraggio di esserlo fino in fondo. Siamo egoisti addormentati, idealisti ipocriti, vittime di un autoinganno e alienati. Ci spiega, uno per uno, tutti i trucchi del pensiero quando cerca di nascondere l’egoismo individuale sotto il mantello della spiritualità, o dietro l’illusione dell’ideologia liberale, comunista, socialista, progressista, conservatrice o reazionaria. “Poiché (l’essere umano) vorrebbe smettere di essere egoista, egli cerca in cielo e in terra esseri superiori da servire e per cui sacrificarsi; ma, per quanto si agiti e si mortifichi, alla fine, però, quel che fa, lo fa solo per interesse personale e il famigerato egoismo non lo abbandona.”
Ci manda anche a dire che se ci sono i ricchi la colpa è solo dei poveri, e che non dobbiamo farci ingannare dai politici di turno quando ci fanno sentire come derubati, solo per candidarsi a nostri protettori, in cambio del potere, utile solo ai loro scopi. Ci invita ad essere uomini liberi e autonomi, ma anche uomini proprietari, che si riappropriano delle ricchezze concesse ad altri: non attraverso un ingannevole collettivismo gestito dai funzionari dello stato o del partito. “Solo la libertà che uno si prende, la libertà dell’egoista, naviga a gonfie vele. La libertà donata ammaina la vela non appena subentra la tempesta o la bonaccia… Noi due, lo stato ed io – scrive Stirner – siamo nemici. Io, l’egoista, non ho a cuore il bene di questa società umana, non le sacrifico nulla, mi limito ad utilizzarla; ma, per poterla utilizzare appieno, preferisco trasformarla in mia proprietà, ossia io l’anniento e costruisco al suo posto L’UNIONE DEGLI EGOISTI…. Anch’io amo gli uomini, non solo alcuni singoli, ma ognuno. Ma io li amo con la consapevolezza dell’egoismo; io li amo perché amarli mi rende felice, io amo, perché l’amore è per me un sentimento naturale, perché mi piace. Io non conosco alcun comandamento d’amore. Io provo compassione e simpatia per ogni essere dotato di sensibilità….”
Impossibile sintetizzare l’opera di Stirner. Se volete capire perché il sol dell’avvenire non è mai sorto, o perché il sogno liberale resta solo un sogno, dovete leggere quest’opera, e provare a confutarla se vi riesce. Non accontentatevi di leggere cosa c’è scritto su Vikipedia a proposito di Max Stirner, perché quello che troverete non gli rende affatto giustizia e non vi servirà a niente. Su Vikipedia c’è scritto che Stirner è un nichilista. Chi l’ha scritto è infarcito di dogmatismo religioso, e a lui vogliamo rispondere citando poche righe dell’Unico, comprese le conclusioni del libro, che sono pura poesia mistica: “Se la religione ha affermato che noi siamo già tutti peccatori, io affermo precisamente il contrario: noi siamo già perfetti. Noi siamo infatti in ogni momento tutto ciò che noi possiamo essere e non c’è mai bisogno che noi siamo qualcosa di più. Siccome non ci manca niente, anche il peccato non ha alcun senso….. Le parole conclusive del libro: “Proprietario del mio potere sono io stesso, e lo sono nel momento in cui so di essere unico. Nell’unico il proprietario stesso rientra nel suo nulla creatore, dal quale è nato. Ogni essere superiore a me stesso, sia Dio o l’uomo, indebolisce il sentimento della mia unicità e impallidisce appena risplende il sole di questa mia consapevolezza. Se io fondo la causa su di me, l’unico, essa poggia sull’effimero, mortale creatore di sé che se stesso consuma, e io posso dire: io ho fondato la mia causa su nulla.”
Se nella conclusione troverete una conferma del nichilismo, vi consigliamo di leggere il sermone: “Beati i poveri di spirito…” del frate domenicano Meister Eckhart, considerato uno di più grandi mistici del mondo. Lo troverete integralmente disponibile in rete, in italiano. Poi decidete se Stirner è un nichilista o se il suo “nulla” somiglia invece al campo di punto zero della meccanica quantistica, traboccante di un’energia travolgente, trasformatrice, evolutiva…. e spiritualmente antidogmatica e postmoderna!