Le amministrative del 1920 avevano visto la vittoria socialista sulle forze della borghesia cittadina unite nella Unione Democratica che aveva fatto della battaglia al bolscevismo la propria bandiera, e del Partito Popolare che aveva partecipato con proprie liste con un programma che pur non prefigurando uno sconvolgimento sociale puntava ad un miglioramento delle condizioni delle classi umili, con particolare attenzione all’assistenza sanitaria, all’istruzione, al problema della casa.
2dicembre 2014 di Paola Ceccotti
I giornali “Il Telegrafo” e la “Gazzetta Livornese” avevano fatto una grossa campagna di stampa a favore della Unione Democratica. La “Gazzetta Livornese” era stato il primo quotidiano importante di Livorno, dal 1919 una sorta di edizione pomeridiana de “Il Telegrafo” che divenne il foglio principale della città, mentre la “Gazzetta” si differenziò per una maggiore attenzione alla realtà locale. Le due testate passeranno ad un sostegno pieno al fascismo sin dal 1921[1], da una iniziale linea politica conforme a quel “Fascio Liberale” – “Costituzionale” costituitosi il 10 marzo del 1919 sotto la direzione del prof. Giovanni Targioni Tozzetti, raggruppamento conservatore legalitario che con il progressivo sviluppo del sentimento antibolscevico dei suoi componenti aderirà a posizioni più intransigenti e antisocialiste.
Il successo dei socialisti si era affermato in un clima di guerra civile a livello nazionale con l’aggressione alla Tipografia dell’ “Avanti”. Nella seduta del 21 luglio 1920 alla Camera fu discussa la questione degli incidenti verificatisi a Roma in seguito agli scioperi dei tranvieri e quella della distruzione della tipografia.
Nel suo intervento l’on. Turati denunciò le affermazioni dell’on. Federzoni secondo cui la reazione feroce contro i tranvieri in Roma sarebbe stata perfettamente legittima, chiedendo che smentisse recisamente il suo giudizio. Egli riteneva invece che quegli atti di violenza fossero il residuo di una mentalità di guerra, “quell’arditismo che pericolosamente si propaga e che i nazionalisti hanno acceso”. In merito alla interrogazione sulla distruzione della tipografia dell’ “Avanti”, l’on. Della Seta affermava che tale invasione era sicuramente stata premeditata e che, cosa assolutamente inconcepibile, il custode dei locali della tipografia aveva invocato invano la protezione dei carabinieri e delle guardie regie lì scaglionate, ma queste avevano mantenuto un contegno assolutamente passivo.
L’on. Modigliani nel proprio intervento ribadiva la convinzione che la distruzione era stata premeditata e organizzata e che la Camera tutta se non voleva essere moralmente complice doveva unirsi alla protesta. Modigliani continuava dichiarando che in tale violenza si poteva ravvisare il sintomo della disperata resistenza da parte degli arricchiti di guerra, che tentavano di impedire l’approvazione dei provvedimenti all’attenzione del parlamento per lo svolgimento “dell’ inchiesta sugli scandalosi guadagni e gli abusi di ogni genere compiuti durante la guerra e nel dopoguerra”. Poche ore dopo la fine della seduta si riuniva a Montecitorio il Comitato direttivo del gruppo parlamentare socialista che, presa visione di vari telegrammi giunti dall’Italia settentrionale e specialmente da Torino e da Milano, decideva di non proseguire con manifestazioni di protesta e di fare opera di calma e di pacificazione, onde impedire che lo sciopero di Roma si estendesse in tutta Italia.
Ma i ferrovieri di Roma per reazione all’assalto alla tipografia dell’ “Avanti” avevano deciso di rifiutarsi di trasportare tutti i giornali, ad eccezione dell’ “Avanti” e dell’ “Epoca” presso la cui tipografia da quel giorno si sarebbe stampato l’ “Avanti”[2], e avevano organizzato una manifestazione al canto di inni rivoluzionari lo stesso giorno. La reazione non si fece attendere e alla prima aggressione ne seguì un’altra con bastonate ai primi deputati socialisti trovati per strada: a Modigliani, a Della Seta, a Reina.
Come denunciò l’on. Maffi a nome del gruppo parlamentare socialista, nella seduta della Camera il giorno dopo, mentre un gruppo di deputati socialisti si recava verso la sede del giornale che ospitava l’ “Avanti” si improvvisò una nuova aggressione, non ostacolata, bensì protetta dalla guardia regia che culminò nel ferimento dei deputati. Era chiara la copertura delle forze dell’ordine, poiché, come dichiarava sempre Maffi, l’aggressore fu due volte fermato dal deputato Baldini e due volte rilasciato da un ufficiale della guardia regia. Sembrava quindi evidente che “il Governo fosse prigioniero di quelle stesse forze … che oggi vanno rivelandosi attraverso il movimento di interessi che non vogliono essere lesi dalle leggi fiscali” che sono state presentate in Parlamento. Anche l’on. Brunelli presente al conflitto sorto davanti alla tipografia dell’ “Epoca” confermava che, come nell’aggressione alla tipografia dell’ “Avanti”, ancora una volta la forza pubblica non aveva fatto niente per impedire le violenze. A seguito di questi interventi, Giolitti presidente del Consiglio concludeva osservando che “non si doveva accusare tutto un corpo… e che il Governo avrebbe punito coloro che lo abbiano meritato”.[3]
A Livorno il successo alle elezioni amministrative del partito socialista e la conseguente sconfitta dei partiti dell’ordine fu imputato dai giornali cittadini “Il Telegrafo” e la “Gazzetta Livornese” all’astensionismo e alla mancanza di unità del fronte democratico: “Ed è veramente deplorevole, vergognoso che in una città la quale deve trarre il proprio avvenire dalle industrie, dai commerci, vi sia stata una metà circa della massa elettorale che si è affatto disinteressata del problema…i nomi degli astenuti saranno resi pubblici …”[4]
Mentre, nel commentare l’insuccesso dell’Unione, nelle pagine della “Gazzetta della sera”, si evidenziava come causa del fallimento la mancata attenzione ai problemi delle masse operaie: “Ma il torto più grande dell’Unione Democratica e la ragione più giusta della sua miseranda fine, fu il disinteressamento manifesto ed appena larvato da ambigue dichiarazioni, per i due capitali problemi che travagliano oggi il popolo e che sono i germi funesti di tutte le sofferenze e di tutte le sue ribellioni. Alludiamo al caro-viveri e alla crisi degli alloggi.”[5]
Ma la “Parola dei socialisti” irrideva alle analisi del voto e alle giustificazioni che i partiti perdenti portavano per sminuire la portata dell’insuccesso: “Ah! Se tutti i nostri fossero andati a votare geme “Il Telegrafo”, avremmo avuto più voti! Che scoperta! Ma chi non vi ha dato il voto, non era dei vostri; quindi non è affatto vero che il “Branco” possa contare, in future lotte, sopra una riserva di voti che oggi sarebbe restata a casa … per far dispetto a se stessa.
La verità è che i voti antisocialisti sono quelli lì e non di più…Siete stati battuti perché quattro sbandierate, e otto fascisti che assaltano i comuni nostri, possono darvi l’illusione della forza; ma ormai vi avvicinate al tramonto economico e politico: Voi siete ancora una consorteria senza idee e senza uomini nuovi …”[6]
[1] Acquisto dei due quotidiani da parte della STET – Soc. Tipografica ed. Toscana – avvenuto il 26 novembre 1918 con l’appoggio di M. Bondi, Giuseppe Cavaciocchi alla direzione politica dei due giornali, in Di Giovanni M., I periodici livornesi tra dopoguerra e fascismo 1919 – 1943, Quaderni della Labronica n.. 53, dicembre 1991
[2] Discussioni e incidenti alla Camera per i disordini di Roma, Il Telegrafo 22 luglio 1920 Livorno
[3] Retroscena sui disordini di Roma, Il Telegrafo 23 luglio 1920 Livorno
[4] Dopo la battaglia elettorale i motivi dell’insuccesso democratico, “La Gazzetta Livornese”, 9-10 novembre 1920
[5] Le elezioni a Livorno risultato fatale, Gazzetta della sera, 8 novembre 1920 (organo della democrazia cristiana, di ispirazione nazionale patriottica, vedi Di Giovanni M., I periodici livornesi tra dopoguerra e fascismo 1919 – 1943,cit)
[6] Perché furono battuti, La parola dei socialisti, 14 novembre 1920