Sulle pagine di alcuni giornali non mancano notizie sconcertanti ma, leggere che mancano tecnici per l’industria è francamente singolare visto che per anni sono state regalate alle imprese leggi e normative che avrebbero potuto e dovuto consentire di reperirli, formarli adeguatamente per inserirli poi, sottopagati, negli organici necessari.
4novembre 2018 di Federico Giusti
Se è vero che nei prossimi 5 anni le imprese italiane hanno bisogno di 469mila tecnici, bisognerebbe capire prima cosa intenda fare Confindustria per la formazione di queste professionalità. Il nostro Paese è carente e spesso in grave ritardo nei percorsi formativi, nelle politiche attive del lavoro, i programmi di studio sono stati rivoluzionati con la scusa che erano fermi a 30\40 anni fa ma, nei fatti hanno prodotto benefici? La stessa alternanza scuola\lavoro ha forse creato i posti di lavoro annunciati e se sì in quale numero? E usciti dalle scuole con diplomi, i giovani hanno per caso ricevuto offerte formative dalle Associazioni degli Industriali o dei commercianti per formare e selezionare forza lavoro destinata alle nuove professionalità?
La risposta è ovviamente negativa perché le imprese poco investono in formazione, idem le associazioni di categoria, le Province (distrutte dalla Riforma Del Rio) non hanno più le risorse adeguate per veri corsi professionali. E, quando leggiamo che non saremo in grado di soddisfare la richiesta del mondo del lavoro (si parla del 33% delle professionalità tecniche richieste dalle aziende e oggi introvabili) a chi dobbiamo chiedere conto di questo?
Parliamo di giovani che stando alle ultime indagini statistiche hanno maggiori difficoltà a trovare lavoro (gli under 33) ma allo stesso tempo vedono crescere nella loro fascia di età: infortuni, malattie e morti sul lavoro.
I Governi nazionali e locali hanno solo compiaciuto i padroni, hanno lasciato loro libertà di licenziamento ma sul piano della formazione e del lavoro hanno fatto ben poco. E i padroni italiani si sa ricorrono allo stato per gli ammortizzatori sociali e non lesinano critiche quando si ritarda l’approvazione di una legge che possa favorirli o se non trovano manodopera da immettere in produzione a basso costo. I percorsi formativi dovrebbero essere frutto della sinergia tra stato, enti locali e associazioni di categoria, lo stato dovrebbe avere un ruolo guida, di indirizzo che ormai ha abdicato. Per questo siamo basiti a leggere che l’assenza di tecnici penalizza il nostro futuro, mette a rischio il tessuto produttivo e ipoteca l’economia dei territori, basterebbe formare per esempio parte dei cassa integrati della Fca per trovare i tecnici richiesti ma sicuramente si guarda a giovani da plasmare, senza memoria del passato, lontani dal sindacato, ricattabili con qualche contratto sfavorevole.
“Quota 100” potrebbe essere l’occasione per restituire alcuni anni di vita dignitosa a chi da 40 anni lavora e nello stesso tempo per l’auspicato ringiovanimento della forza lavoro ma a questo appuntamento arriveremo senza avere operato le scelte necessarie, anzi nel caso della Pubblica amministrazione corriamo il rischio di avere uffici e servizi paralizzati. Se l’Italia è il secondo paese manifatturiero d’Europa e se troppi giovani abbandonano gli studi o non si iscrivono all’università di chi è la colpa? Di un sistema scolastico e formativo che non funziona, pensato senza guardare lontano, al futuro, con alcune facoltà che continuano ad avere il numero chiuso, con programmi di studio inadeguati.
Allora parole come orientamento, formazione o acquistano significati pregnanti attraverso percorsi reali senza essere finalizzati ad accaparrarsi finanziamenti statali ed europei o andremo poco lontano. Dovremo ripartire dalle scuole superiori, dall’edilizia scolastica, dagli indirizzi professionali, da percorsi formativi post diploma, l’assenza di tecnici sancisce il fallimento dell’alternanza scuola lavoro e allo stesso tempo anche delle politiche di orientamento e formazione delle associazioni di categoria e degli enti locali e regionali. Ci sono scuole che hanno subito una feroce desertificazione, basti pensare al numero degli iscritti all’Itis o ai Geometri, due scuole un tempo di popolo e oggi quasi dimenticate. Ripensare il percorso di studi è di primaria importanza ma prima bisogna investire nella istruzione perché non esistano scuole parcheggio dove non si studia e non si acquista una formazione, con classi numerose, pochi insegnanti e ancor meno strumenti di lavoro.
- Qualcuno se la sta prendendo con il Paese dei troppi letterati (ma siamo anche il paese con il numero più’ basso di lettori e acquirenti di libri e giornali e di questo a chi dovremo chiedere conto?), visto che la media Ocse vede il 23% dei laureati in materie umaniste che in Italia sono assai di piu’ (non sarebbe arrivato il momento anche di ridiscutere le lauree brevi e lunghe?)
- L’industria parla di 100mila ingegneri e 65mila laureati in discipline scientifiche (oltre 20 mila nel chimico-farmaceutico), queste sono le professionalità in teoria richieste per i prossimi anni oltre a un numero elevato di periti tecnici e operai professionali.