“Si è concluso il 2017, anno in cui è stata annunciata l’inizio della ripresa economica con aumento del Prodotto Interno Lordo. Ma scorrono anche altre immagini, quelle dei troppi contratti precari, dei milioni di italiani impossibilitati a curarsi, degli studenti feriti o umiliati nell’alternanza scuola\lavoro, dei lavoratori e delle lavoratrici licenziati\e o giudicati troppo vecchi per restare in produzione ma ancora giovani per avere, secondo la Fornero, un assegno previdenziale.”
1gennaio 2018 di Federico Giusti
Ricorderemo il 2018 come l’anno di scambio degli aumenti contrattuali con i bonus o adeguandosi a irrisori aumenti contrattuali ma, barattati con perdita sostanziale dei diritti. E’ ancora troppo presto per parlare di arresto del declino italiano e della solidità della manifattura perché si continua a delocalizzare produzione, si investe poco o nulla in ricerca, i posti di lavoro creati sono per lo più precari e a tempo. Non siamo ancora tornati ai livelli del 2008, non lasciamoci ingannare da parziali statistiche, impariamo piuttosto a saperle leggere e a interpretarle senza subire il fascino di dati spesso costruiti ad arte per manipolare l’opinione pubblica e indirizzare la politica a prendere alcune decisioni. Un po’ come la narrazione sulla necessità di una legge contro gli scioperi considerata emergenza perché ogni giorno il Paese era attraversato da vertenze e scioperi, vero è che l’economia in parte ha ripreso a correre ma, la ricchezza prodotta non viene redistribuita e l’welfare non alimenta posti di lavoro, non rilancia i consumi, non riduce l’orario di lavoro.
La ripresa della produzione manifatturiera avviene con l’incremento dello sfruttamento della forza lavoro, ci sono algoritmi utilizzati in maniera diabolica per impedire perfino all’operaio e al facchino di andare in bagno, le esportazioni sono riprese ma spesso e volentieri il lavoro creato si sposta altrove, dove la manodopera è al massimo ribasso. Ci raccontano del calo della produttività media del lavoro di quasi il 13 per cento, una sorta di monito per accrescere ulteriormente lo sfruttamento o in subordine investire nelle nuove tecnologie che cancelleranno migliaia di posti di lavoro. Sta qui il punto saliente di Impresa 4.0, la ristrutturazione di un sistema in una logica di ricercare sempre maggiori margini di profitti a favore di pochi speculatori finanziari. Nel corso dell’anno abbiamo toccato con mano l’aumento degli occupati a termine, il crollo dei lavoratori indipendenti, delle partite iva, del lavoro autonomo di prima o seconda generazione, la riduzione dei contratti stabili dopo la fine degli incentivi statali.
- Siamo in presenza della progressiva proletarizzazione di quella che un tempo si definiva classe media, risultato anche dell’arricchimento di una esigua minoranza che ormai detiene gran parte della ricchezza prodotta. Non sono 23 milioni gli occupati in Italia, sono molto di meno se per occupati si intende anche quanti hanno lavorato saltuariamente o per pochissimi giorni:
- il tasso di occupazione al 58,1%,
- gli occupati permanenti sono meno di 15 milioni,
- i contratti a termine sono 347mila in più del 2016 pari a circa 2,8 milioni,
- i lavoratori autonomi superano i di 5 milion,i tuttavia risultano ridotti di 140 mila unità rispetto ad un anno fa.
Ma se confrontiamo questi dati con la media europea ci si accorge che la narrazione sulla crisi archiviata è tossica, questo perché in Italia lavorano ben pochi giovani e donne, assai meno di quanto lavorino nel resto del vecchio continente:
- Il tasso di disoccupazione è sopra l’11% ,
- I giovani tra i 15 e 24 anni senza lavoro sono al 34,7% , praticamente il doppio della media europea.
- Siamo in presenza di un autentico boom degli inattivi (gli inoccupati che ormai hanno rinuciato anche solo di poter sperare ad un’occupazione), lo scoramento si è quindi impossessato di parti sempre più vaste della società. Non esiste l’offerta lavorativa tanto decantata, da qui scaturisce una lettura del Paese, che oggettivamente contrasta con l’ottimismo massmediatico di Confindustria e Governo.
- L’Italia non ha superato la crisi, i risultati raggiunti sono stati resi possibili dall’innalzamento della età pensionabile e dal tasso di sfruttamento soprattutto nel terziario.
- Il numero dei lettori e dei laureati è in continuo calo, siamo un Paese che non legge, non studia e lavora sempre meno ma, al contempo abbiamo raggiunto livelli eccellenti nella precarizzazione del lavoro e della vita di tanti uomini e donne.