3settembre 2014 di Luca Stellati e Stefania Brandi
Sei giorni sono pochi per pensare di fare concorrenza alla Lonely Planet, abbastanza per ricavarne qualche impressione, strumentale per le nostre peripezie.
La prima è che, seppur animati da tutte le buone intenzioni di parlar male della Germania, del suo arricchimento ai danni dell’Europa mediterranea, questo viaggio non offre l’occasione ed il contesto più favorevole. Semplicemente perché Berlino non è Germania, non vi si rintraccia l’opulenza borghese della Baviera, il trattamento classista e discriminatorio verso le minoranze etniche; Berlino è anzi un incredibile avvicendamento di microcosmi, fieri della propria cultura, che interagiscono fra loro ed ormai visibilmente si mescolano con effetti sorprendenti.
Oddio l’eredità del passato fa parte del presente. Passeggiando per il centro capita sovente di inciampare in sampietrini in ottone, recanti ciascuno un nome ed una data, posti a memoria dello sterminio di milioni di ebrei – comunisti – omosessuali: tante tracce di sangue hanno segnato indelebilmente le rive ridenti della Spree.
Ma contro il luogo comune che la ritrae grigia e triste, proprio per la sua storia di recinzione e costrizione, a Berlino si respira un’aria di libertà ed allegria.
Non sembra di stare in una metropoli di 3,5 milioni di abitanti, ma in una sequenza di paesi, ognuno dei quali esprime una diversa identità, attorniati da verde ed acqua e dotati di quanto serve non solo alla mera sopravvivenza, ma di quegli spazi integrati di lavoro – socialità – creatività che definiscono la qualità del vivere.
Capita di incrociare di frequente giovani coppie sui 20anni o poco più con 2-3 figli piccoli nei carrozzini, o che si rotolano nelle finte spiagge di rena vera, con ombrelloni e tinozze, ricavate in parecchie piazzette di tutta la città. O queste famigline schierate sulle panche dei Bar per bambini, a litigarsi, genitori e figli, alimenti a prima vista non proprio appetibili…
Sorprendente l’assenza dei nonni (come sarebbe stato inevitabile nelle nostre zone), segno di una vita autonoma del nucleo, di un lavoro che c’è, di asili e nido completamente gratuiti, come tutta l’istruzione e l’efficiente assistenza sanitaria. Segno di una speranza di vita che è ormai un ricordo nelle nostre terre, ulteriormente intristite dalla crisi.
Impossibile non imbattersi ripetutamente nelle molteplici declinazioni musicali ed artistiche, ovunque nelle loro libere manifestazioni di strada o nei metro’, straordinariamente organizzate nei centri sociali, nei cinema autorganizzati, nei teatri di ogni ordine e genere, nelle innumerevoli gallerie d’arte, nei laboratori artigiani di grafica, pittura, scultura. Berlino non è più solo la capitale della tecno’, offre una straordinaria varietà di incontri stimolanti, si presenta come un grande laboratorio dove la ricerca sui classici del passato si coniuga con interessanti tentativi creativi.Ciò che più si discosta dalla nostra esperienza è la dimensione professionale di questo fenomeno, che dà lavoro a decine di migliaia di persone, viene valutato come un’occupazione di qualità e non come un’attività dopolavoristica. In Italia giudicheremmo senza dubbio alto il costo della loro produzione locale, anche di quella maggiormente orientata al consumo turistico, ma è il segnale di una significativa attribuzione di valore.
Si diceva dei Centri e Case sociali che, nate con l’occupazione di aree abbandonate, soggette il più delle volte a fenomeni di deindustrializzazione, si sono strutturate per rispondere a bisogni socioabitativi, politicoculturali ed occupazionali. E’ infatti profondamente diversa la concezione berlinese dell’(auto)organizzazione: per fare un esempio il Row Tempel (ex officine delle ferrovie tedesche) occupato nel ‘98 ospita ora 63 progetti, laboratori artistici e gallerie, un cinema all’aperto, un’area per grandi concerti ed altri spazi per musica e teatro, un caffè, un bar-ristorante, un ristoro arabo, una pista per gocart d’epoca, un grossista di bevande.
Si comprende perché queste realtà, con una storia spesso pluridecennale, vengano considerate dai berlinesi parte del proprio “patrimonio” e del circuito metropolitano culturale ed artistico.
Naturalmente queste esperienze sono insidiate (sovente sopraffatte) dalla speculazione immobiliare, che dopo il ’90 ha attraversato una fase fortemente espansiva ridisegnando intere aree cittadine.
Bisogna però onestamente ammettere che non tutti gli interventi edilizi sono uguali, ed a diversi architetti nostrani farebbe bene studiare un po’ le caratteristiche dell’integrazione berlinese fra vecchio e nuovo. Così come le nostre amministrazioni (certamente povere) dovrebbero imparare ad applicarsi di più alla cura e manutenzione dei beni pubblici, che altrove non risaltano per il loro stato di degrado.
Ma qua siamo scivolati su una china pericolosa, siamo a un passo dalla parte dei “vecchi brontoloni”, o peggio del desiderio di “ordine e pulizia”. Meglio fermarsi fin che si è in tempo.
Mentre ci concediamo un raro assaggio di cucina tedesca (assolutamente minoritaria a Berlino), per un banale equivoco, un anziano e distinto signore ci apostrofa “italianen pizza and mozzarelen”. Lo guardiamo e ci guardiamo, qualche anno fa’ avremmo replicato “tedeschen kartofen and wuster”, condito magari con un “nazi di m….”; invece ci è sembrata sufficiente una risata accompagnata da un gesto della mano, non staremo davvero invecchiando?