Tra le promesse elettorali c’era la cancellazione della Fornero, l’abbassamento dell’età pensionabile.
17luglio 2018 di Giusti Federico
Si era anche parlato di rivedere il sistema di calcolo che sappiamo essere destinato, con il sistema contributivo, a determinare tra 15 anni assegni previdenziali da fame. Ma dopo le enunciazioni roboanti sono arrivati i ripensamenti e gli interventi prospettati sono assai più blandi, infatti si parla di quota 100 (tra età anagrafica e anni contributivi) ma ricalcolando gli anni come se fossero tutti con il sistema contributivo (altra rimessa economica) .
Il Governo qualcosa dovrà pur fare a partire dalla legge di Bilancio autunnale ma allo stato attuale non esiste alcun progetto reale che preveda il superamento della Fornero e il finanziamento della spesa aggiuntiva per le casse statali. Per questo motivo il Governo prova a dirottare l’attenzione verso gli assegni previdenziali superiori ai 4mila euro mensili proponendone la tassazione, una scelta destinata ad accattivarsi le simpatie popolari senza incidere concretamente sulla vita di tanti lavoratori che con oltre 40 anni di contributi vorrebbero andare in pensione. Ecco perché si parla della quota 42 per le uscite anticipate, e non più della quota 41, ecco perché di cancellare la Fornero nessuno parla più e il sistema contributivo è diventato insostituibile.
Inps ha redatto un documento analitico per studiare i costi della cosiddetta quota 100 parlando di una spesa aggiuntiva che va dai 4 ai 14 miliardi annui, sarà per questo motivo che un intervento sulle pensioni potrebbe anche slittare al 2020 applicando la quota 42 (nel 2019 stando alla attuale legge si andrebbe in pensione con 43 anni e 3 mesi per gli uomini e 42 e 3 mesi per le donne, quindi capiamo bene che a rivoluzione annunciata sarebbe smentita da una riforma che anticiperebbe di un anno la pensione lasciando inalterato l’impianto della Fornero). E poi non dimentichiamo l’età di uscita, le pensioni anticipate potrebbero anche subire forti decurtazioni per non dimenticare poi degli incentivi pensati per chi vorrà restare al lavoro, misure che certo non favoriranno nuova occupazione e ridurranno di ben poco l’età pensionabile senza per altro prevedere interventi atti ad impedire un domani assegni previdenziali da fame. Scenari ben diversi da quelli elettorali e in piena continuità con i dettami dell’austerità
Enti locali: il pasticciaccio continua e delegittima la dinamica contrattuale e salariale
La Corte dei conti della Puglia ha dichiarato nulla la dichiarazione congiunta sindacati – Aran presente nel contratto nazionale 2016-2018 delle Funzioni locali, quindi gli incrementi del fondo della produttività, che arriveranno solo nel 2019,dovranno rientrare nel tetto di spesa relativo all’anno 2016. In questo modo ogni incremento contrattuale, anche se esiguo, non determinerà aumento alcuno del fondo della produttività. Eppure gli incrementi stipendiali previsti dal contratto incidono nel determinare i differenziali economici e dovrebbero concorrere a incrementare il fondo integrativo superando il tetto di spesa del 2016. La Corte della Puglia ha avuto da eccepire al contrario della Corte dei conti a sezioni riunite che , dando il via libera alla ratifica del contratto, aveva implicitamente ammesso la legittimità della crescita del fondo pari a 83.20 euro per ciascun dipendente presente al 31 dicembre 2015 (eppure sarebbe stato logico prendere in considerazione il personale effettivamente in servizio al momento della stipula del contratto, ossia almeno al 31\12\2017).
Non si tratta solo di interpretare delle normative, il rinnovo di un contratto nella Pubblica amministrazione prevede, sempre più in linea teorica ormai, l’aumento degli stipendi rapportati ai livelli ma anche l’incremento del fondo della produttività che poi regola il salario accessorio (ribattezzato integrativo). Le dichiarazioni congiunte sindacati e Governo vengono così smentite dalla magistratura contabile e la sola strada percorribile parrebbe essere quella di tornare ai tavoli negoziali ma soprattutto servirebbe ben altro: cancellare i tetti di spesa e le politiche di austerità che impediscono l’aumento degli stipendi recuperando il potere di acquisto perduto. Il pasticciaccio creatosi è figlio delle politiche di austerità, della pretesa che sia sufficiente una dichiarazione congiunta per superare gli ostacoli normativi. Ma in questo modo la stessa contrattazione sindacale esce fortemente ridimensionata, per risolvere il problema basterebbe ridurre le posizioni organizzative ma nel frattempo gli Enti le hanno incrementate e si indirizzano verso la separazione delle Po dal fondo come previsto dal contratto .
Quali sono allora gli scenari futuri?
Sicuramente la strada percorribile sarebbe quella di porre fine a tetti e politiche di austerità ma dubitiamo che questo sia l’obiettivo dei sindacati complici. Non resta allora che ritornare ai tavoli di trattativa e trasformare la dichiarazione congiunta in parte normativa. In caso contrario, il rinnovo contrattuale non avrà alcun effetto sul salario accessorio e alla fine avremo una perdita salariale destinata ad accentuarsi negli anni futuri. Ma il pasticciaccio appena descritto è l’ennesima dimostrazione che sono proprio i tetti di spesa a rappresentare una concreta minaccia per i lavoratori della Pubblica Amministrazione, vuoi perché le assunzioni sono insufficienti e con il contagocce, vuoi perché gli incrementi salariali decisi dal nuovo contratto sono ben al di sotto degli impegni assunti senza dimenticare che l’obiettivo della Magistratura contabile resta la riduzione del salario di secondo livello.