14maggio 2018 da Maurizio Marchi, Medicina Democratica Rosignano Solvay
“Excusatio non petita, accusatio manifesta” diceva una celebre massima latina, che tradotta sembra adattarsi bene all’intervento di Davide Papavero, direttore della Solvay di Rosignano: “Chi si scusa si accusa”. Il direttore, nell’intento di minimizzare quanto emerso nella Relazione parlamentare del 28.2.18 (in estrema sintesi, falde idriche gravemente inquinate sotto lo stabilimento) di fatto conferma quanto già si sapeva.
«Sulla base delle evidenze documentali e analitiche e dei riscontri nel tempo, è emerso che in passato l’attività dello stabilimento ha causato una estesa situazione di inquinamento delle acque sotterranee, sia superficiali che profonde. Gli interventi attivati negli anni hanno consentito di scongiurare una deriva particolarmente grave del fenomeno di inquinamento in atto, legato a una contaminazione storica, contenendo i danni più rilevanti dell’area interna allo stabilimento», afferma la relazione parlamentare, con una buona dose di ottimismo.
Il percorso di bonifica sarebbe iniziato tra il marzo e il novembre 2001 quando – è bene ricordarlo – si stava preparando con tutte le parti in causa (Solvay ed istituzioni) – sotto l’egida del ministro Matteoli – l’accordo di programma del 2003, che avrebbe consentito a Solvay di continuare a scaricare gratis il grosso dei propri rifiuti in mare, accordo che a tutt’oggi non è rispettato, se non in minima parte (non sui rifiuti), ed in virtù del quale accordo Solvay incassò 30 milioni di euro. Ma la bonifica delle falde sotterranee non ha funzionato, se ancora nel 2016 i NOE hanno attestato “l’inefficienza, sia pure temporanea, della barriera idraulica”, cioè le acque contaminate, da sotto lo stabilimento, hanno potuto contaminare anche acque fuori dallo stabilimento.
Ancora dalla Relazione parlamentare si apprende quello che Arpat nel 2017 rinveniva nella falda. Siti da bonificare, punto 4 , paragrafo A:
“lo stabilimento Solvay presenta una contaminazione dei terreni, nonché delle acque sotterranee (falda superficiale e falda profonda) da arsenico, mercurio, composti organoclorurati e Pcb (policlorobifenili). In particolare, per quanto riguarda i composti organoclorurati, le concentrazioni nelle acque sotterranee risultano superiori alle Concentrazioni soglia di contaminazione di 3-4 ordini di grandezza”. “La contaminazione è dovuta alle lavorazioni che sono state effettuate nel corso degli anni e ai rinterri di scarti delle lavorazioni avvenuti nel passato. I bersagli della contaminazione delle acque sotterranee sono: lavoratori esposti ai vapori indoor/outdoor; i pozzi ad uso irriguo delle abitazioni nelle immediate vicinanze del sito; le acque superficiali del fiume Fine e del mare (Spiagge bianche)”.
Nella Relazione parlamentare si legge infine che dal 2014 è attivo un barrieramento idraulico della falda (41 pozzi di emungimento).
“Tuttavia – termina il documento – è accaduto che molti pozzi sono rimasti fermi, dal dicembre 2015 al luglio 2017, come hanno rilevato i carabinieri del Noe di Grosseto.”
Proprio a seguito di questo accertamento, nei primi mesi del 2016, è stato contestato il reato di inquinamento del suolo, del sottosuolo e delle acque con il superamento delle concentrazioni soglia di rischio (articolo 257 del decreto legislativo 152 del 2006). In altre parole, si è atteso il 2014, cioè dopo l’incriminazione di Solvay dalla procura della Repubblica di Livorno nel giugno 2013, con patteggiamento della società, di cui non si è mai conosciuta la Perizia dell’ing. Albino Trussi di Milano, per attivare il “barrieramento idraulico della falda”, barrieramento che poi non ha funzionato “dal dicembre 2015 al luglio 2017, come hanno rilevato i carabinieri del Noe di Grosseto, come attesta la Relazione parlamentare. Insomma, altro che tutto monitorato e sotto controllo, come afferma Papavero:
“Solvay sembra aver fatto poco, male e in ritardo”.