Sulla rivista scientifica “Epidemiologia e prevenzione” (www.epiprev.it), sul numero attuale (anno 40 novembre-dicembre 2016) è presente un articolo di Valerio Gennaro ed Agostino Di Ciaula, che rilancia autorevolmente la lotta per la dismissione delle reti acquedottistiche in cemento-amianto.
21dicembre 2016 da Maurizio Marchi, Medicina democratica/Movimento di lotta per la salute
Ricordiamo che in Toscana – secondo i dati ufficiali di AIT – ben il 6% degli acquedotti sono costituiti da cemento-amianto, ma a fronte di comuni che non ne hanno, altri ne hanno molto più della media toscana: 53% Pisa, 35% Livorno, 37% Cecina, 30,50% Empoli, 38,14% Forte dei Marmi, ecc. In Toscana, il gestore idrico che ha la percentuale media più alta è ASA di Livorno, con il 14,71 %.
Il recente riscontro di amianto in campioni di acqua potabile in Toscana (sino a 700.000 fibre/litro) ha riaperto il dibattito sui rischi da ingestione di queste fibre. L’esposizione ad amianto è stata messa in relazione a vari tumori del tratto gastrointestinale e in vitro è stata documentata la citotossicità ileale da ingestione di fibre di amianto. Il riscontro di amianto in campioni istologici di carcinoma del colon e nella bile colecistica suggerisce la possibilità che, oltre alla migrazione/traslocazione dai polmoni ad altri organi per via linfatica, sia possibile un riassorbimento intestinale delle fibre e il raggiungimento del fegato attraverso la circolazione portale.
È stato anche descritto un possibile nesso causale tra amianto e colangiocarcinoma intraepatico. L’amianto assunto per ingestione è in grado di potenziare l’effetto mutageno del benzo(a)pirene e, secondo l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (IARC), ci sono evidenze sul rapporto causale tra ingestione di amianto e cancro dello stomaco e del colon retto. Il rischio sarebbe proporzionale alla concentrazione di fibre ingerite, alla variabilità del consumo idrico, alla durata dell’esposizione e alla concomitante esposizione ad altri carcinogeni (per esempio, benzo(a) pirene). La presenza di fibre di amianto in acqua potabile potrebbe, inoltre, spiegare l’evidenza epidemiologica di mesoteliomi non associabili a esposizione inalatoria.
In conclusione, numerose evidenze suggeriscono che i rischi sanitari correlati all’amianto possono essere subordinati a differenti vie di introduzione e sono presenti anche per ingestione, soprattutto attraverso il consumo quotidiano di acqua potabile.
In Italia mancano limiti di legge e rilevazioni sistematiche sulla concentrazione di fibre di amianto in acqua, nonostante sia ampia la diffusione delle condotte in cemento-amianto e alcune di queste siano in progressivo deterioramento, anche a causa dell’alto tasso di acidità dell’acqua circolante. Resta da stabilire con chiarezza il limite minimo tollerabile di fibre di amianto nell’acqua potabile e, per rispetto dei principi di precauzione e di prevenzione, sarebbe opportuna una revisione della normativa nazionale e un efficace e sistematico piano di monitoraggio dell’acqua da applicare in tutte le entità amministrative (comuni/province/regioni). Sono, inoltre, necessari ulteriori studi epidemiologici finalizzati alla corretta identificazione delle comunità esposte e a un’adeguata valutazione del rischio in quelle specifiche aree geografiche.