Il rapporto Istat, presentato il sei Dicembre, parla di quasi il 30% degli italiani a rischio povertà, per la esattezza il 28,7%
8dicembre 2016 da Federico Giusti
Da Confindustria un allarme interessato, tanto è vero che parlano di misura di contrasto alla povertà a rischio, nel caso di un’eventuale crisi e caduta del Governo.
Che sia proprio Confindustria a preoccuparsi della caduta di un Governo amico è risaputo, non a caso sono stati fautori del Sì al referendum nell’ottica di rafforzare gli esecutivi, centralizzando le decisioni in materia di Grandi Opere ed Energia ma, la cosa su cui dovremo preoccuparsi, invece, è il tentativo di scaricare sulla Finanza Pubblica ogni misura di contrasto alla crescente povertà, prodotta da queste politiche.
Dopo la boutade (si fa per dire) dei titoli di borsa in pericolo dopo la vittoria del no (un allarme interessato per salvare gli istituti bancari a tutti noti), ci si accorge che il Paese non solo è in preda a una crisi sociale ed occupazionale ma vive da tempo un pericoloso impoverimento. Ad essere colpite sono le famiglie che per anni, con il risparmio degli anni passati, hanno rappresentato una risorsa indispensabile per quanti hanno perso lavoro, o per chi non l’ha ancora trovato. Il Nostro, è il solo Paese europeo, insieme alla Grecia, che non ha adottato strumenti e misure di contrasto alla povertà assoluta. Parliamo di chi vive nella vera e propria indigenza, senza alcuna fonte di reddito, privo di possibilità anche per pagarsi le bollette, per fare la spesa, per curarsi e per i trasporti pubblici. La perdita di lavoro e conseguentemente della casa, condanna anche le giovani generazioni alla non istruzione, gli abbandoni scolastici sono ai vertici europei come anche la rinuncia alle cure mediche.
A livello europeo da anni arriva la richiesta ai singoli Paesi di adottare politiche di contrasto alla povertà ma, in un decennio i poveri sono aumentati e, in 7\8 anni praticamente raddoppiati. Su richiesta (pressante) della U.E. sono arrivate le norme previste dalla legge di bilancio, un fondo che dovrebbe ammontare a circa 1miliardo di euro nel 2017 e di 1,5miliardi a partire dal 2018. Ancora ferma in Parlamento una proposta di legge sul reddito universale.
Ma la vera questione sta nell’utilizzo di questi fondi, nella loro destinazione. Come sarà possibile adottare politiche di inserimento sociale e lavorativo, se tra le misure previste ci saranno strumenti di ulteriori impoverimento della forza lavoro come i voucher.
Di sicuro la prospettiva del Governo è quella di demandare ai Comuni e alle altre realtà del welfare locale (Terzo Settore e Centri per l’impiego) il compito di adottare le politiche di reinserimento, peccato che i presupposti per le misure di contrasto alla povertà dovrebbero partire dallo Stato, dalla adozione di un piano Marshall spendibile contro la miseria, con politiche sociali e lavorative non all’insegna della precarietà. Il punto è che le misure adottate dal Governo, in attesa di definitiva approvazione, risultano essere del tutto inadeguate se le demandano a soggetti terzi costantemente obbligati, a loro volta, con tagli e risorse sempre più’ ridotte. La logica dello scaricabarile non porterà lontano, basti pensare che gli Enti Locali non riescono neppure a far fronte al piano di manutenzione degli edifici pubblici, immaginiamoci allora se potranno adottare politiche efficaci contro la miseria soprattutto in assenza di investimenti occupazionali, di blocco al turn over