Oliver Stone è stato presente all’incontro con il pubblico sabato al Teatro del Giglio, e giovedì in mattinata all’incontro con la stampa all’interno della Fondazione Ragghianti nell’ambito del Lucca Film Festival 2017
10Aprile 2017 di Enrico Bulleri
L’ospite sicuramente più importante della manifestazione di quest’anno e a cui è dedicata una retrospettiva presso che completa delle sue regie cinematografiche, se non dei documentari per cui negli ultimi anni si è altrettanto distinto, e di quelle televisive come “W” su George W. Bush nel 2010; sempre provocando polemiche e divisioni di giudizio più che critico-estetico soprattutto ideologico, e come sempre è avvenuto per il suo cinema abbastanza radicale e impegnato, pure se nei limiti imposti dall’industria del cinema americano dagli anni ottanta in poi.
Ci ha dunque parlato del suo ultimo progetto al quale sta lavorando di un documentario-intervista con Vladimir Putin, intitolato “Conversations with Putin”, e del quale sono state già realizzate varie ore di filmato, che lo hanno visto fare la spola con il Cremlino a Mosca, per la prima volta registrano Putin in inglese. Putin è nelle parole di Stone un uomo molto più ragionevole e razionale di quello che sono stati sia George W. Bush che Barack Obama, e argomenterà le sue ragioni in questo nuovo docu-film di Stone, nella scia dei precedenti e riusciti documentari-intervista su leader politici come “Comandante” e “Looking Fidel” tra il 2003 e il 2004, incentratisi su Fidel Castro, e “South of the Border” nel 2009 su Hugo Chavez e i capi di Stato di sinistra in Centro e Sud America. Su Putin l’interesse è forte, anche per la curiosità se il lavoro verrà implementato dagli ultimi sviluppi internazionali che lo riguardano, e dato che Stone ne ha annunciato l’uscita per il 2018. “La Russia se guardate una cartina dell’Europa è circondata da missili della Nato e dalle loro basi, che partono dai loro confini della Polonia fino a quelli del Medio Oriente in Turchia. Una politica americana di accerchiamento e minaccia, che già era di Obama e che con Trump non accennerà di certo a cessare, ma anzi a rinnovarsi nelle scelte errate e a incendiare aree già pericolosissime e di aperto conflitto come è successo in Ucraina e in Georgia in passato.” Questo nelle parole del regista newyorkese.
Dagli anni ottanta Stone è anche un importante documentarista della storia e la politica americana, in Patria e in Sudamerica, oltre che coscienza critica della corruzione, della rapacità capitalistica che affligge il continente, facendogli guadagnare la fama e la nomea di regista scomodo e insofferente al sistema nel quale egli stesso ha realizzato le sue opere, pure premiate con gli Oscar: Ben tre personali, e un’infinità di premi internazionali importanti e nomination: due Academy Awards come Miglior Regista per “Platoon” nel 1986, il quale vinse anche come Miglior Film, e una come sceneggiatore a poco più di trent’anni, con la sceneggiatura di “Midnight Express”, tratta dal libro best-seller di Billy Hayes, per il successo planetario e di Oscar “Fuga di Mezzanotte” diretto nel 1978 da Alan Parker, sceneggiatura per la quale avrebbe vinto anche un Golden Globe. Già con questo primo successo, Stone cominciò a cimentarsi con materiali controversi e in cui vengono messe molte delle proprie personali ossessioni ed esperienze, con la storia del giovane studente universitario americano che finisce internato nell’inferno delle prigioni turche durante lunghi anni per avere cercato di portare un carico di droga fuori dal paese.
Da allora e per dieci anni tranne per la parentesi di “Scarface” con Brian De Palma, Stone avrebbe sempre lavorato con produzioni low-budget fino anche al suo esordio come regista nel 1986 per “Salvador”. Compresi i due primi tentativi alla regia nel genere horror: “Seizure” nel 1974, dalla limitata distribuzione cinematografica, e “La Mano”(The Hand)(1981), nessuno dei due uscito all’epoca in Italia. Quest’ultimo una produzione della Warner Bros., con protagonista Michael Caine.
L’anno dopo Stone avrebbe scritto un’altra sceneggiatura per un film divenuto di grandissimo culto, ovvero, “Conan Il Barbaro”(Conan the Barbarian)(1982), diretto da John Milius. Nel 1983 per “Scarface”, e nel 1985 per “L’Anno del Dragone”.
Nel 1986 vi è l’esordio vero e proprio nella regia che gli sarebbe stato più congeniale, il dramma d’impianto politico e storico, con “Salvador”, realizzato con la piccola compagnia di produzione di John Daly che realizzerà quasi “back-to-back”, anche “Platoon”.
Primo approccio del regista alle tematiche sudamericane in un momento nel quale gli Stati Uniti erano più che mai impegnati in centro e latino America nella guerra al narcotraffico, e di contrasto ai regimi e ai movimenti guerriglieri comunisti, coinvolgendosi in più di una guerra civile.
Lo stesso “Salvador” fu co- sceneggiato anche da egli stesso, in collaborazione con il vero foto-reporter di guerra Richard Boyle, sulle cui memorie era tratto il libro di partenza.
Il 1986 è l’anno della vera e propria svolta, basti pensare che in quelli stessi mesi egli sarà impegnato nelle riprese e nella realizzazione del suo primo film ad alto budget “Platoon”, il film della definitiva affermazione commerciale e di critica, con una miriade di premi internazionali , tra cui una pletora di Premi Oscar, comprendenti quelli più importanti per il Migliore Regista e il Miglior Film.
“Platoon” è stato il film che all’epoca ridefinì il concetto stesso di “Viet-movie”, e le sue coordinate stilistiche come di racconto, tanto che lo stesso Kubrick che si stava cimentando da anni con la pre-produzione e poi la lavorazione del “viet- film” definitivo “Full Metal Jacket”, posticipò di un anno l’uscita del suo capolavoro perchè era oramai divenuto in un certo qual senso “sorpassato”, per effetto dell’enorme successo e dei massimi premi ottenuti dal viet-film di Stone.
“Platoon” è per forza di cose uno dei suoi film più personali, dato che partì volontario per il conflitto nel 1967, rimanendoci 24 mesi ed essendo pluri-decorato con la Purple Heart e altre importanti medaglie per le sue numerose azioni militari, anche aviotrasportate e sul campo nella famosa campagna “search and destroy”, messa in atto dall’intelligence militare dopo la devastante offensiva vietcong del capodanno del Tet nel 1968, allo scopo di cercare di riguadagnare terreno nei confronti di una sconfitta americana oramai già quasi certa, andando con squadre speciali d’assalto a stanare “Charlie” ovunque si trovasse, anche in territorio nemico.
La forma di Stone a Lucca è parsa buona, e tale da farcelo vedere di nuovo nelle condizioni di cimentarsi con la regia cinematografica, a breve e con lo spirito proverbialmente indomito e apparente immutato, sempre pronto a lanciarsi nelle sue inchieste da docu-film nei corridoi del potere, e degli aspetti più oscuri e di cui andare meno fieri, della politica americana nel mondo come nella fattispecie, in centro e Sud America, ragione per cui all’incontro con la stampa, ma ancora più marcatamente nell’incontro con il pubblico al Teatro del Giglio di ieri mattina e dalla platea e i palchetti pieni, le domande non potevano non spaziare sui grandi temi della politica e della attuale situazione internazionale.
Tanto che i momenti nei quali si è potuto parlare del suo cinema e dei suoi film, non sono poi stati molti, e soprattutto legati alla presentazione e premiazione personale al cinema Astra di giovedì sera, del film che egli ha scelto come quello a cui è personalmente più legato: “Alexander” del 2004 nella “Final Cut” che Oliver Stone aveva inizialmente concepito, di ben 216′, e terminata nel suo ri-montaggio definitivo per l’uscita in dvd e Blu-ray, solamente nel 2014.
Il film uscì infatti allora in quella forma “cinematografica” breve, perchè la Warner Bros. Ci ha spiegato Stone, premette molto per distribuirlo a novembre del 2004, in tempo per le candidature agli Oscar, e per sfruttare il periodo natalizio delle uscite cinematografiche. Ma sempre secondo Stone, il film non era francamente ancora pronto, e molto del sesso e della violenza che il regista voleva inserire, la Warner volle che venisse tolto dal film.
Comunque, anche in questa forma intonsa di tutto quello che venne modificato o tagliato, e più lunga, non certo il suo migliore film, in una filmografia tra le più elevate del cinema contemporaneo per qualità generale e livello di proposta e tecnica, ma tant’è, questa è stata la sua scelta personale.
Come detto e ricordato al Sindaco Tambellini convenuto in bicicletta all’incontro con la stampa di giovedì “Sul quale Stone ha scherzato paragonandolo a Jacques Tati ne “Le Vacanze di Monsieur Hulot””, Stone è con piacere a Lucca alla scoperta di questa bella città e del pubblico nei tre incontri che vi sono svolti, oltre ovviamente a promuovere il suo cinema e i suoi film, programmati nell’ambito del Festival in una retrospettiva completa.
Come detto Stone ha potuto parlare di cinema dopo tutte le domande sulla politica e il nuovo Governo americano di Trump, la situazione in America Latina e segnatamente in Venezuela eccetera eccetera., ha ribadito il suo amore per il cinema italiano di De Sica, Rossellini, Fellini, Pasolini, e in particolare tra i più “giovani” Bernardo Bertolucci, citando i suoi film sul periodo storico del ventennio fascista “Il Conformista”, “La Strategia del ragno”, e segnatamente, “Novecento”, che sostiene di avere visto tante di quelle volte da essersene fatto compenetrare, citandone anche la colonna sonora di Morricone con cui avrà a lavorare nel 1997 per “U-Turn Inversione di marcia”. Uno dei tanti film realizzati con cui Stone si è scontrato contro il puritanesimo e il perbenismo della società americana e del mondo di Hollywood, tanto che citando proprio Pasolini, uno come lui secondo Stone non avrebbe mai potuto fare i suoi film permeati di ateismo, a Hollywood, né adesso né in passato, se non venendo relegato o condannato, all’insuccesso commerciale. Secondo Stone con una opinione questa un po’ opinabile da parte di chi in Italia ci vive, “la società italiana cosi come la stampa e l’informazione televisiva sono più “libere”, sotto questi aspetti, e hanno potuto permettere a personalità quali Pasolini di essersi espressi più o meno liberamente.”
Ad una domanda postagli a riguardo di Roman Polanski che da quarant’anni è in fuga dal Governo degli Stati Uniti e ad una di quelle inevitabili sulla nuova Presidenza di Donald Trump, su cui Stone è ovviamente di disaccordo su tutto, “ Dalla riforma sanitaria che anche se rientrata, verrà sicuramente ritentata, alle politiche sul clima. “Volevo ancora illudermi che le politiche americane avrebbero potuto essere migliori, ma Trump non può cambiare la sua natura, che è intransigente, e duramente ignorante, e senza fare distinzioni, d’altro canto esattamente come lo sarebbe stata pure quella di Hillary Clinton, alla Presidenza.
Ma la visione di Stone è al solito più ampia e d’insieme: “Gli Stati Uniti– dice- mostrano un potere esterno dei Presidenti che poi è ben relativo, nel controllo di tutto. Ad esempio c’è il famoso e potentissimo Stato parallelo e ben segreto dell’apparato industrial-militare, già denunciato nel 1960 da Dwight Eisenhower nel suo discordo di commiato dalla Casa Bianca, e che oramai è strettamente imparentato con quello dell’economia di Wall Street, dell’informazione manipolata dalle multinazionali, dallo spionaggio dell’intelligence, ecc., ecc., tutti mondi che non possono cambiare e che sono loro, a dirigere l’azione politica e l’agenda internazionale in termini di politica estera. L’esempio di Obama è lampante, è stato eletto come Presidente proprio per sganciarsi dall’interventismo e cercare di propiziare un’epoca di pace, ma ben presto lo hanno piegato ai loro consigli di guerra.”
A questo punto parlando di spionaggio e sicurezza interna, il discorso non può che arrivare all’ultimo film da egli diretto “Snowden”, uscito in Italia lo scorso autunno, e che non ha ottenuto i riscontri critici e di pubblico, che ci si sarebbe potuto aspettare, forse perché non tra i più personali e riusciti del regista, come invece era stato in passato. “Snowden” ha per protagonista –interpretato da Joseph Gordon- Levitt– l’oramai famosissimo tecnico della NSA- National Security Agency, il quale per la sua crisi di coscienza ha fatto conoscere al mondo un sistema enorme di sorveglianza globale messo a punto dagli Stati Uniti e dai suoi apparati, per ascoltare e vedere informaticamente tutto, di quello che viene scambiato attraverso i computer e le telecomunicazioni. Il film poteva essere più affascinante dato lo spunto di partenza, e maggiormente incisivo, essendo incentrato su di una figura che sarà discussa ancora per molti anni a venire, e che non poteva non rientrare negli interessi e nelle ossessioni personali di Stone; il controverso autore, Edward Snowden, di quello che secondo la vulgata giornalistica è stato già definito il più grande furto di informazioni riservate, riuscendo a penetrare e violarne i sistemi della sicurezza, nella storia del servizio segreto americano.
“Snowden, come ogni mio film, -ha detto Stone– non vorrebbe essere un film “politico”, ma raccontare prima di tutto di un travaglio interiore, della lotta solitaria degli individui con il potere, e ciò che si scatena contro e può accadere ad ogni livello, in occasione di simili contrasti. Snowden segnatamente, per Stone è un vero eroe, sacrificandosi, dovendo lasciare il suo Paese e sua esistenza precedente per una vita di fuga e perennemente minacciata, momentaneamente sotto il riparo dell’asilo politico nella Federazione Russa. Tutto questo ha deciso di farlo solo per mettere a conoscenza la spesso disinteressata e disimpegnata opinione pubblica, in primis del suo Paese, di quanto marcio fosse, quello che stava accadendo. E per fortuna c’è ancora qualcuno che si assume la responsabilità di tali pesanti azioni e poi fardelli, di cui doversi poi caricare. “