La maledizione di Guttmann
19luglio 2015 di Lamberto Giannini
Nella puntata precedente abbiamo parlato de la prima finale di Coppa Campioni, quella del 1956 vinta dal Real e la formazione madrilena si aggiudicherà tutte le edizioni fino al 1960.
Ad interrompere il filotto Real ci ha pensato il Benfica dell’allenatore giramondo Bela Guttmann nel 1961, battendo in finale il Barcellona di Luisito Suarez. La finale del 1962 assume un’importanza particolare perché per la prima volta a contendersi il titolo sono due squadre che hanno già vinto la coppa, il monumentale Real e la novità Benfica.
Una finale tutta iberica come già nel 1961, ma l’anno prima era il Barcellona a rappresentare la Spagna, squadra non amata dal regime, ora invece la contesa è tra due squadre amate dai rispettivi dittatori, il generalissimo Franco che sostiene, anche con agevolazioni ignobili, il Real e Salazar diventato tifoso del Benfica per cavalcare la vittoria. In quel momento Spagna e Portogallo erano gli unici fascismi esistenti in Europa, e quindi la finale venne preceduta nei due paesi da una perpetua campagna di regime.
Il 1962 è l’anno che ad ottobre getterà il pianeta nella paura a causa della crisi dei missili a cuba, in Italia dopo il fallimento della virata a destra, dell’estate del 1960 con il governo Tambroni, il governo Fanfani sostenuto dall’esterno dai socialisti attua riforme importanti nel paese. Sono anche le prime estati con il turismo balneare di massa. La finale di coppa dei campioni è già un rito, un gustoso aperitivo, prima della fine della scuola e l’inizio delle vacanze.
Il giorno fatidico è il 2 maggio, il teatro è lo stadio olimpico di Amsterdam, nettamente favorito il Real che presenta un trio ancora più meraviglioso del precedente: Di Stefano, Puskas, Gento, il Real vuole riprendersi la coppa che è già stata sua per cinque volte dopo un solo anno di interruzione .
A preoccupare i madrileni è la sapienza tattica di Guttmann, uno che era ungherese è diventato austriaco, ha allenato in Italia ( Padova, Triestina, Milan, Vicenza), nella sua carriera tra calciatore e allenatore si è mosso nei seguenti paesi , oltre i due di origine, Italia, Cipro, Grecia, Portogallo, Argenitna, USA, Uruguay, Brasile, Svizzera. Un avo di Mourinho: provocatore, carismatico, in grado di far parlare la stampa di quello che lui decide, motivatore, arrogante , ma anche sapiente dal punto di vista tattico.
Ma nonostante la maestria di Guttmann, la partita prende la piega prevista, dopo 23 minuti il Real è già avanti due reti realizzate con il solito e prevedibile schema, Di Stefano serve e Puskas realizza, l’allenatore del Benfica aveva avvertito i suoi delle possibili difficoltà iniziali, ma sembra veramente il prologo di una disfatta. Guttmann si alza in piedi ride e dice ai suoi, facendosi sentire anche dagli avversari, ora che si sono sfogati iniziamo a ballare noi, ed in dieci minuti il Benfica segna due volte, prima con Aguas, l’eroe del 1961 uno che in carriera a fatto più reti che partite, e poi con il difensore Cavem. Il Real però non si scompone e con la solita trama, vista e rivista ma inarginabile, Di Stefano manda in rete Puskas, il Real è tornato in vantaggio dopo appena 4 minuti e al riposo è avanti.
L’aria negli spogliatoi portoghesi è pesante, ma ci pensa Guttmann che dice ai suoi “ormai si è vinto”, guarda l’addetto stampa e dice di preparare la festa, ed aggiunge alla squadra “loro sono morti andiamo a massacrarli”. Il maestro non si limita a frasi ad effetto , ma compie due mosse tattiche decisive. Una serrata marcatura ad uomo, non su Puskas come tutti si attendevano, ma sulla fonte del gioco Di Stefano, inoltre ordina di attaccare a testa bassa per ottenere subito il pareggio e dopo diventare prudenti, farli correre per ripartire in contropiede lanciando il giovane Eusebio nelle praterie scoperte del Real.
Eusebio giovanissimo era una fissazione di Guttmann, la squadra era perplessa, perché nei primi 45 minuti il giovane portoghese proveniente dalla colonia del Mozambico era apparso fuori dal gioco, ma al maestro non si replicava. Ed incredibilmente le cose vanno come l’allenatore del Benfica aveva previsto, cosa rarissima nel calcio che essendo situazionista risulta imprevedibile. Sfuriata dei portoghesi che al sesto minuto pareggiano con Coluna, e poi attendono il Real che con un Di Stefano francobollato da Cavem spreca energie e come da copione Guttmann due contropiedi micidiali della pantera Eusebio al 65 ed al 68 minuto, sgretolano il Real: è la vittoria tattica di Guttman, la consacrazione del ventenne Eusebio. Una gioia immensa per i portoghesi veder sconfitto il Real, una sconfitta senza appello, perche nella finale di coppa dei campioni non esiste un dopo, esiste il qui ed ora che diventa definitivo unico, non esiste un domani.
Nessuno poteva immaginare che per il Benfica, che aveva tra le sue fila il secondo giocatore più forte del mondo, Eusebio, quello sarebbe stato l’ultimo trionfo internazionale della sua storia.
Sul club di Lisbona stava per abbattersi la più grande maledizione della storia dello sport , quella che è passata nel mondo del calcio come la maledizione di Guttmann, il vulcanico allenatore pretendeva un premio in denaro per la vittoria che non venne elargito dalla società, ed allora disse “questa squadra non vincerà più nessuna coppa internazionale per un secolo”, sono passati 53 anni e per ora la maledizione ha avuto corso, il Benfica da allora ha disputato altre 5 finali di Coppa dei campioni, una di coppa Uefa , due di Europa league , una di Coppa intercontinentale, perdendo sempre , persino ai rigori come nella finale di Coppa dei campioni del 1988 contro il PSV. Si è provato ogni esorcismo contro la maledizione, addirittura quando il Benfica giunse di nuovo in finale a Vienna, città dove è sepolto Guttmann, contro il Milan nel 1990, Eusebio che era dirigente andò a pregare sulla tomba del maestro chiedendo di mettere fine all’incubo, ma il Milan di Sacchi vinse 1-0 al Prater, con il fantasma di Guttmann che aleggiava.
Un allenatore diventato personaggio grazie alla sapienza tattica ma anche per le frasi ad effetto, oltre alla maledizione è rimasta celebre la risposta ai giornalisti nel 1962 dopo la finale, sul perché la squadra che da due anni dominava in Europa, fosse giunta soltanto terza nel mediocre campionato portoghese. La risposta che passò alla storia fu “non abbiamo un culo adatto a sedersi su due sedie”, poche ore dopo lasciò il Benfica ed insieme alla maledizione aggiunse “non voglio allenare una squadra di quattordici commendatori”, titolo che anche lui aveva ricevuto, al pari dei componenti della squadra, dopo la vittoria del 1962, da parte del dittatore Salazar.