L’esordio su pisorno.it della nuova rubrica di calcio che, di settimana in settimana, ci accompagnerà fino all’autunno
12luglio 2015 di Lamberto Giannini
Il 1956 è un anno da ricordare per molti avvenimenti, indipendenza della Tunisia, ventesimo congresso del partito sovietico nel quale Crusciev avvia la destalinizzazione, crisi di Ungheria, crisi del canale di Suez.
Il calcio è all’anno zero , se lo parametriamo ad oggi, all’epoca il Brasile non aveva ancora vinto un mondiale, Pelè era un ragazzino di belle speranze e Maradona non era ancora nato. Il giornale francese l’Equipe era in guerra perpetua con la stampa inglese nell’alimentare il dubbio su quale fosse il calcio migliore, non esistevano ancora gli europei di calcio. La fondazione dell’UEFA aiutò l’Equipe a portare avanti il progetto della coppa dei campioni, nome voluto dalla FIFA preoccupata che la manifestazione diventasse privata. La partecipazione avvenne su invito dell’Equipe, anche se la competizione per volontà della FIFA era organizzata formalmente dall’UEFA.
Le 16 federazioni invitate proposero delle squadre, generalmente i vincitori dei campionati nazionali 1954-55 ma con eccezioni, la formula dei vincitori del campionato divenne regola dall’edizione successiva.
Per l’Italia venne scelto il Milan campione d’Italia sconfitto in semifinale dopo che aveva superato i tedeschi del Saarbruchen squadra del territorio del Saar, che dopo aver militato nel calcio francese era rientrato nella Oberliga tedesca (attualmente nella quarta serie del calcio germanico), e poi il Rapid di vienna , i campioni di Italia non riuscirono però contro i madrileni franchisti a ribaltare il 2-4 subito all’andata e nonostante la vittoria per 2-1 a San Siro furono eliminati. Durante quella semifinale nessuno poteva pronosticare che i il Real Madrid ed Il Milan sarebbero diventate le due squadre al vertice dell’albo d’oro del torneo rispettivamente con 10 e 7 vittorie. Nell’altra parte del tabellone giunge in finale, con grande piacere dell’Equipe la squadre francese dello Stade de Reims con la sua stella Kopa, per il giornale francese la finale al parco dei principi senza nessuna squadra transalpina sarebbe stato un affronto duro da digerire.
Per i francesi , stritolati da vicende storiche drammatiche come la sconfitta in Vietnam del 1954, l’indipendenza della Tunisia , lo scontro con Ben Bellà ed il suo FLN in Algeria, la finale è un’occasione per dimostrare il proprio orgoglio nazionale, l’impresa appare improba di fronte si trovano il trio delle meraviglie del Real di Di Stefano , Rial e Gento, ma si conta sull’orgoglio nazionale ed il genio di Kopa, ed anche sulla non brillante stagione dei madrileni terzi in campionato a dieci punti dai baschi del Bilbao.
Il 13 giugno 1956 al Parco dei Principi di Parigi tutto è pronto per la finale , i 38.239 spettatori forse non si rendono conto di assistere all’atto finale di una manifestazione che diventerà la competizione più importante per il calcio di club. I ventidue in campo scelti dagli allenatori Llorente (Real) e Batteux (Stade Reims), sono pronti, il fischio di inizio è dato dall’arbitro inglese Ellis, nomina che ha fatto mugugnare i francesi vista la secolare rivalità, parzialmente mitigata dall’alleanza nelle due guerre. Inglesi e francesi si odiano calcisticamente, l’Equipe ha fatto nascere la coppa per questo, ma le polemiche sono superate dall’entusiasmo, che si respira sul terreno e sugli spalti, molti giocatori intervistati due decenni dopo diranno che si rendevano conto di respirare un clima magico, poetico, oltre la realtà, quello che per gli appassionati di calcio diventerà la poesia unica della finale di Coppa dei Campioni , perché non potrai sapere come finirà, ma sai già che i componenti di una squadra alla fine avranno una gioia che ti porta a volare a respirare una dolce aria primaverile di una delle capitali europee che a turno si aggiudicano la finale, gusteranno il dolce sapore non di una vittoria ma della vittoria eterna quella che ti consacra per sempre che ti rende immortale nel ricordo. Mentre per i componenti della squadra sconfitta il fischio finale porterà un dolore allo stomaco di quelli che ti piegano che ti fanno sentire sconfitto, una delusone che diviene l’eterno ritorno dell’identico, lo sguardo cerca un altro sguardo un’immagine alla quale appigliarsi, per sperare che non sia vero, e le stesse emozioni vengono vissute sugli spalti e dagli anni 60 anche dai telespettatori.
E la coppa ha raccontato tante gioie ma anche tante lacrime, quelle di Kopa NEL 1956 , di Eusebio nel 1963, del giovane Cruyft nel 1969, di Causio nel 1973, di Simonsen nel 1977, di Platini nel 1983, di Falcao nel 1984, di tutta la città di Barcellona nel 1986, di Mancini nel 1992, dei bavaresi nel 1999, di Buffon nel 2003 e nel 2015, di Terry nel 2008 , di Ronaldo nel 2009, di Godin nel 2014. Pochi centimetri dividono la gioia estrema dalla disperazione è questa la poesia della finale dei campioni.
Ma torniamo al 13 giugno 1956 , tutti aspettano, Kopa e Di Stefano, ma dopo 6 minuti ad esaltare la Francia è il centrocampista difensivo Leblond che scuote la rete 1-0 per il Reims, Di Stefano e compagni non riescono ad organizzarsi, provano a parlare tra loro ma lo stadio è una bolgia, non si sente niente, i francesi sono spiritati e 4 minuti dopo l’attaccante che non ti aspetti, non il divino Kopa ma il meno conosciuto Templin, irride il portiere madrileno Adelarpe ed insacca a porta vuota. I giocatori del Real sono storditi, Gento dirà che non riuscivano a trovarsi , ma quando la disfatta sembra inevitabile, non serve più la squadra ma il fuoriclasse, l’uomo che si prende in carico la situazione e con la sua classe risolve, tutti i compagni cercano lui, Di Stefano che come tutti i visionari vede oltre e risolve. Passano ancora quattro minuti e con un movimento magico detta il passaggio, si trova davanti alla porta e segna, non sono ancora passati quindici minuti dall’inizio è già si sono viste tre reti, l’inerzia della partita è mutata, il Reims è in vantaggio ma il Real domina ed intimorisce ed al trentesimo Rial pareggia, il primo tempo si chiude in parità.
Nella ripresa, quando tutto sembrava volgere a favore del Real grazie soprattutto alla classe di Di Stefano, i francesi trovano il goal del vantaggio al sessantaduesimo grazie ad una deviazione al volo del centrocampista Hidalgo, colui che da allenatore guido la Francia di Platini al primo successo internazionale della sua storia nell’europeo del 1984 dove sconfisse in finale proprio gli spagnoli.
Il Real sembra aver subito il colpo anche Di Stefano sembra nervoso e stanco i francesi cantano sugli spalti. Il Real si getta comunque in avanti a testa bassa, in modo sconclusionato, portando avanti tutti gli effettivi e rischiando di subire il goal che avrebbe segnato la fine, invece i madrileni trovano il pareggio con un difensore poco tecnico che in tutta la carriera aveva segnato pochissimi goal, Marquino che non riesce neppure a capire cosa ha fatto perché prima che la palla entri in rete è sotterrato dall’abbraccio collettivo, quell’abbraccio che toglie l’incubo, che scaccia l’ansia, che in un attimo infinito spinge via la disperazione e le paure, le tenebre sono lontane. Di Stefano torna a dettar legge ed ha dieci minuti , la legge del più forte non lascia scampo ai francesi, Rial imbeccato da Di Stefano segna la sua doppietta personale e con il punteggio di 4-3 per i castigliani si arriva alla fine.
Fino ad ora la cronaca di un match spettacolare, ma dopo il fischio le facce deluse dei francesi e quelle sollevate degli spagnoli, evidenziano che esistono le partite dove puoi vincere e perdere e poi esiste la finale di Coppa dei Campioni dove o vinci oppure calcisticamente muori, perché riottenere il privilegio di rigiocarla è raro. Molti calciatori sostengono che ripartire dopo una sconfitta nella finale della competizione più poetica sembra impossibile, è come aver scalato l’Everest ed ha pochi centimetri dalla vetta ricadere giù, vedi gli avversari festanti che ballano con la coppa a pochi metri da te e cosi lontana. Il capitano Munoz del Real alzerà la coppa al cielo per la prima volta nella storia e sarà lui ad alzarla nelle due occasioni successive , per poi vincerla due volte anche da allenatore. Per i francesi una dolorosa sconfitta che diventerà ancor più forte quando pochi giorni dopo Kopa cede alle lusinghe del nemico Real e con questa squadra vincerà tre coppe dei campioni di fila risultando il primo francese ad aggiudicarsi la manifestazione, ma con una squadra spagnola.
I francesi sono sconfitti, ma L’Equipe ha vinto la formula che è vincente ed appassionante ed il giornale francese piazza un altro colpo nello stesso anno, inventa il pallone d’oro per premiare il miglior calciatore europeo, tanti premi sono stati inventati ma questo è il più prestigioso, i francesi erano sicuri che ad aggiudicarsi il pallone d’oro sarebbe stato uno tra Di Stefano e Kopa, comunque o un francese o un vincitore della coppa voluta dall’Equipe, comunque una vittoria per il giornale, ma un’azione diplomatica degli inglesi, sembra che fecero pressione su molti votanti, portò il premio nelle mani del calciatore del Blackpool Stanley Matthew. Ottimo calciatore, non un fuoriclasse ed ormai avanti con l’età vinse a 41 anni, l’uomo che in carriera anche a causa della guerra si era aggiudicato solo una coppa di Inghilterra, per gli inglesi il premio fu un modo per sminuire l’importanza della coppa dei campioni, anche se i due finalisti Di Stefano e Kopa giunsero secondo e terzo. Ma anche loro verranno rapiti da questo fascino e dovranno aspettare il 1968 per vedere una squadra inglese trionfare , il Manchester United di Best.