Le politiche di austerità imposte dal governo Renzi e dal PD prevedono nel settore della Sanità un ulteriore taglio di ben 2,5 miliardi di euro
21maggio 2015 di Antonio Stefanini, il “Sindacato è un’altra cosa” Funzione Pubblica
In seguito a questo provvedimento la Regione Toscana, a guida Enrico Rossi, sta attuando tagli, riorganizzazioni ed accorpamenti che inevitabilmente porteranno da subito ad una perdita di efficacia e di diffusione dei servizi nel territorio.
Il piano di accorpamento delle ASL, lungi dal suscitare una ondata di dichiarazioni ostili, ha mosso solo sporadiche prese di posizione nettamente contrarie. Per questo la presa di posizione del Sindacato Italiano Pensionati di Livorno, laddove critica il fatto che tutte le amministrazioni regionali (inclusa quella toscana) hanno accettato senza fiatare i tagli imposti da Renzi, è da considerare un atto opportuno e di estrema correttezza che dimostra la possibilità che ci sia quella completa indipendenza da qualsiasi quadro politico esistente che dovrebbe essere l’elemento naturale della CGIL.
Anche nel corso dell’audizione delle cosiddette parti sociali da parte del Consiglio regionale, che hanno preceduto l’approvazione della delibera relativa alla ristrutturazione di tutto il sistema sanitario regionale, praticamente nessuno ha sottolineato con decisione i punti critici, sia dal punto di vista dell’organizzazione dei servizi, che dal punto di vista dell’impatto sociale.
Ricordiamo come tutti gli studiosi di organizzazione sanitaria avvertono che gli accorpamenti dei servizi sanitari nella grande maggioranza dei casi danno luogo a disastri in quanto diminuiscono la qualità e la quantità dei servizi, rendendo spesso la loro organizzazione più farraginosa, senza portare i risparmi auspicati.
A nostro parere un simile disegno dovrebbe suscitare un ampio movimento di opposizione che dovrebbe trovare i sindacati fra i protagonisti poiché, fra l’altro, tale riorganizzazione allontana ancor più il controllo e la programmazione dei servizi dai cittadini e la controparte dai lavoratori, accentrando così il potere nelle mani di tre super-manager nominati e controllati direttamente dal Presidente della Regione.
Ci si sarebbe aspettato da parte sindacale una indignata difesa dei lavoratori quando il presidente Rossi afferma che nella sanità pubblica toscana esisterebbero migliaia di esuberi fra medici ed infermieri, accusando implicitamente questi ultimi di scarsa produttività. A meno che non si voglia pensare che il Presidente intenda fare autocritica ed accusare se stesso di inettitudine gestionale e organizzativa.
Si dovrebbe chiedere al Presidente come mai allora esistono liste d’attesa per le prestazioni che a volte raggiungono proporzioni irreali; forse che i dipendenti del SSR non stanno facendo il loro lavoro? E si potrebbe anche chiedergli: come mai sono sempre di più i lavoratori costretti a saltare i riposi per coprire i turni? E come mai molti dipendenti, in particolare la maggior parte dei medici hanno un arretrato di ferie degli anni precedenti a volte mostruoso?
Ma ritorniamo sulle proposte di riorganizzazione. Nel più ampio programma di Rossi per la riorganizzazione del sistema sanitario toscano, assumono un ruolo importante le Case della Salute tanto da diventare uno dei pilastri della futura sanità regionale.
Le Case della Salute (CdS) dovrebbero funzionare come una sorta di grande ambulatorio sui territori e sostituire in alcuni casi i piccoli ospedali, con evidente perdita di posti letto per altro già carenti in Toscana e sotto gli indici nazionali.
Nel 2013 le attuali 12 ASL hanno ottenuto dalla Regione Toscana più di 8,2 milioni di euro per avviare ed implementare 54 CdS salendo così a 94 unità che dovranno divenire successivamente 120. E’ interessante notare come il 75% dei finanziamenti vengono erogati non a lavori ultimati ma al momento della comunicazione dell’avvio degli interventi. Cifre peraltro irrisorie, basta pensare che per la Provincia di Livorno si finanziano 6 case della Salute per un totale di 630.000 euro, poco più di 100.000 euro a unità.
Tuttavia queste strutture vengono propagandate come elemento fondamentale di potenziamento dell’assistenza sul territorio alle quali sarebbe affidato il compito da un lato di gestire la cronicità, facendo diminuire per questa tipologia di assistenza il ricorso al ricovero con il conseguente risparmio di posti letto ospedalieri, dall’altro di fornire prestazioni diagnostiche di base e addirittura prestazioni di pronto soccorso, riducendo così la pressione ai Pronto Soccorso generali che molto spesso sappiamo essere insostenibile percittadini ed operatori.
Questo tipo di struttura, che dovrebbe includere un team multifunzionale (medici di famiglia, infermieri, personale sociale ed amministrativo), è previsto su tre livelli di complessità (base – standard – complesse) ma fin dalla fine del 2012 (anno del loro esordio legislativo) ha stentato a costituirsi in tutto il territorio regionale. In particolar modo nella nostra città non ne esiste ancora alcuna, mentre nell’intero territorio dell’ASL ne sono state costituite solo due, a Guardistallo e Donoratico, con un funzionamento insufficiente, mentre ne è stata annunciata una a San Vincenzo che tuttavia rimane ancora in fieri per problemi con i medici di medicina generale, che ricordiamo essere in quel posto, come altrove, “liberi professionisti” in convenzione con il servizio sanitario pubblico.
Il progetto regionale prescrive la presenza nelle CdS di medici di medicina generale: 6 medici per 4 ore nelle CdS “base”, 8 medici per 8 ore in quelle “standard”, 8 medici per 10 ore in quelle “complesse”. Si legge anche che si prevede la presenza di “specialisti”, ma ad oggi non ci risulta che siano state definite le modalità, che sono demandate alla decisione dei responsabili di ciascuna struttura.
È ovvio che questo può generare fortissimi rischi di disomogeneità nella fornitura dei servizi essenziali come quelli riguardanti la salute, visto che a decidere saranno dei manager nominati da altri manager a loro volta nominati (e controllati) direttamente dal Presidente della regione e/o dall’Assessore regionale alla Sanità mentre i cittadini e i territori, a causa del sempre maggiore accentramento, saranno sempre più lontani dal poter intervenire minimamente nel processo decisionale.
Un altro punto che lascia perplessi è quello in cui si identificano le CdS con le “Unità Complesse di Cure Primarie” (UCCP), strutture organizzative queste ultime che sono quelle che praticamente permetterebbero l’integrazione funzionale delle varie professionalità, strumentazioni e diagnostica. Ebbene queste UCCP non esistono ancora e non se ne prevede, a causa di mancanza di fondi, la loro istituzione. In effetti leggendo la delibera della Giunta regionale toscana n.117/2015 in cui si cerca di dare più stringenti direttive per la costituzione di queste strutture, troviamo altre numerose perplessità e punti apparentemente poco realizzabili.
C’è da essere scettici quando nella premessa si dice che le “Unità Complesse di Cure Primarie” (UCCP) le quali secondo la Regione alla fine del percorso dovrebbero identificarsi con le Case della Salute, sono parte fondamentale ed essenziale del distretto e viene fatto di chiedersi come mai per lunghi decenni si sia depotenziato il distretto sanitario, che già trent’anni fa sarebbe dovuto essere il fulcro della nuova sanità non centrata sull’ospedale, dove sarebbero dovuti affluire specialisti, competenze e strumentazione e che invece sono stati pesantemente ridotti di numero e funzioni. É curioso che adesso improvvisamente si cerchi di imporre una svolta così radicale e viene il sospetto che l’unica caratteristica veramente funzionale sia il presunto risparmio.
Sempre in premessa a proposito della partecipazione dei medici di medicina generale, che dovrebbero essere le figure professionali centrali della nuova organizzazione, ci si richiama a “prossimi accordi regionali” cioè ad accordi non ancora definiti né stipulati (almeno alla data della delibera).
L’unico accordo che è stato fatto in Regione ci risulta essere quello per le “Aggregazioni Funzionali Territoriali” (AFT) dei medici di medicina generale, un raggruppamento funzionale, mono-professionale (nella città di Livorno ce ne sono 4 e una a Collesalvetti) che ha già comportato la nomina di un responsabile e con esso la corresponsione di un compenso economico di 1.500 € lordi mensili. Le AFT tuttavia sono solo strutture monoprofessionali di coordinamento e la loro formazione non implica in maniera obbligata ed immediata l’impegno nelle Case della Salute.
Sono molti gli altri punti oscuri per quello che ne possiamo capire noi dalla lettura dei più importanti documenti che riguardano le CdS e da una breve inchiesta presso il personale che dovrebbe essere interessato. Ma ciò che lascia più perplessi è il fatto che i provvedimenti legislativi decretati e gli accordi sindacali siglati sono tutti “iso-risorse” e cioè senza che venga stanziato un euro in più per implementarli.
Ed allora la Regione ed il suo Presidente ci devono spiegare da dove intendono prendere le risorse per dare “possibilità di accesso in tempo reale per i professionisti operanti nelle sedi UCCP” quando fra l’altro queste “Unità Complesse di Cure Primarie” non esistono ancora? Con quali soldi si dovrebbe operare il “potenziamento della strumentazione diagnostica di base”, cioè acquistare nuove dotazioni diagnostiche? Con quale personale, pagato con quali fondi, si dovrebbe ottenere il “potenziamento dell’assistenza domiciliare e residenziale” che, come è noto a tutti, implica un notevole impegno di risorse umane?
Forse aumentando lo sfruttamento di quei dipendenti delle cooperative sociali (private) che spesso già lavorano in quasi totale spregio dei più elementari diritti?Se invece si intende trasferire mezzi e risorse umane dai servizi già esistenti, così a conti fatti non si è potenziato assolutamente nulla.
L’unico argomento a sostegno della fattibilità economica delle CdS è che esse verrebbero finanziate con i risparmi. Ma la Regione Toscana è una di quelle che hanno risparmiato di più sulla Sanità, e Livorno nella Regione toscana è la prima, e appare chiaro a lavoratori/trici e cittadini/e che non si può più risparmiare più nulla.
A nostro parere se, a quasi tre anni dalla loro approvazione, le “Case della salute” sono un elemento raro che in numerosi territori ancora non sono conosciute, se in altri territori non si riesce a trovare l’accordo dei principali attori come i MMG, se è stata necessaria un ulteriore delibera di giunta (la 117/2015) per spingere la loro creazione ci sono dei motivi di fondo, riconducibili principalmente nella mancanza di risorse economiche ed umane.
Ma la cosa che lascia più sconcertati è che la Regione continua a inviare messaggi espliciti in cui afferma che le CdS, ancora fantomatiche, dovrebbero risolvere problemi enormi come la mancanza di posti letto negli ospedali, l’intasamento dei Pronto Soccorso e la gestione della cronicità sul territorio e nelle famiglie. La netta impressione invece è che il richiamo ad esse possa essere utilizzato per tagliare altri servizi, bene o male funzionanti e di conseguenza aprire la strada all’intervento dei privati in tutti i campi della sanità.
Certo, il modello di una sanità pubblica che si fornisce di strutture e funzioni territoriali che prendano in carico i vari e diversi bisogni sanitari dei cittadini, dalla prevenzione alla cura ed alla riabilitazione, coordinando fra loro professionisti di ogni branca è per noi più che auspicabile, ma il progetto di queste Case della Salute per la sua organizzazione, per i centri decisionali che ne determineranno natura e funzioni al di fuori di ogni controllo delle comunità ed infine per mancanza di risorse non è certo quello che può andare in questo senso.
Su questo progetto, Case della salute e Unità Complesse di Cure Primarie” (UCCP), riteniamo utile che ci sia un confronto più ampio capace di coinvolgere tutti i soggetti coinvolti e fornire ai cittadini/e tutte le informazioni e la documentazione necessarie per permettere una valutazione più precisa e approfondita.
In ogni caso, in questa fase, riteniamo più utile per i lavoratori e le lavoratrici del settore, ma non solo, per tutti i cittadini, che la CGIL si faccia promotrice di una forte campagna di opposizione al modello toscano di sanità, basato sul concetto della “intensità di cura” che poi nella realtà si è tradotto in intensità di risparmio, e sull’introduzione del project financing con le logiche privatistiche in esso insite.
Campagne pur meritorie ma parziali come quelle tese a chiedere l’applicazione di strutture come la Case della Salute rischiano, se non inserite nel contesto più generale, di trasformarsi in una pericolosa quanto controproducente copertura di politiche di tagli e austerità nella sanità che vanno a colpire ancora una volta i settori sociali più deboli e fragili.
Il diritto alla salute come quello ad una istruzione pubblica devono diventare terreni su cui vedere una CGIL impegnata in prima persona e capace di coinvolgere tutte le categorie e i lavoratori e lavoratrici nella difesa di questi due fondamentali principi costituzionali che garantiscono le fondamenta solidaristiche e universaliste della nostra società.
Ma per avere un simile ruolo si devono abbandonare quegli atteggiamenti rinunciatari e disarmanti, che diffondono l’idea dell’impossibilità da parte del sindacato di contrastare le politiche nazionali ed europee spesso presenti nelle istanze dirigenti delle categorie e della confederazione nazionale e di Livorno.