Livorno indicata quale sede del Congresso socialista, si trovò a rivestire un ruolo di primo piano nella storia
21gennaio 2016 di Paola Ceccotti
Sembra che l’individuazione della città fosse scaturita dopo che il Ministero dell’Interno e alcuni dirigenti del Partito socialista, prudentemente, avessero suggerito l’opportunità di non far svolgere il congresso a Firenze, come indicato in prima istanza, questo a causa del pesante clima politico che subiva la città, tormentata dalle scorribande dei fascisti.
Scartata anche l’ipotesi di spostare il Congresso a Viareggio, era quindi prevalsa la proposta di Modigliani di fare di Livorno la sede del Convegno.
La città di Livorno tutte aveva le condizioni necessarie a garantire un regolare svolgimento della manifestazione, ed inoltre era governata da una amministrazione comunale socialista da poco insediata.
Il Congresso socialista iniziò i lavori al teatro Goldoni il 15gennaio alle ore 15, si concluse il 21 con la votazione su tre mozioni:
- quella unitaria o di Firenze (sottoscritta da Baratono e Serrati),
- quella comunista o di Imola (Bordiga-Terracini)
- e quella concentrazionista o di Reggio Emilia (Baldesi-D’Aragona).
I risultati comunicati dal Presidente Bacci furono i seguenti:
- votanti 172.487,
- astenuti 981,
- unitari 98.028,
- comunisti 58.783,
- concentrazionisti 14.695.
L’approvazione della mozione Baratono-Serrati fu seguita dall’intervento di Polano con l’annuncio che la Federazione giovanile socialista, della quale era segretario, scioglieva i suoi impegni col Partito Socialista per seguire le deliberazioni della frazione comunista. Mentre l’on. Roberto, dell’ufficio di Presidenza, in rappresentanza dei comunisti esprimeva l’angoscia che prende nei momenti della separazione e, se la storia non si poteva mutare faceva comunque appello a lavorare tutti nell’interesse del proletariato.
Bordiga, poiché la maggioranza dei congressisti col suo voto si era posta fuori della Terza internazionale, invitava i delegati della frazione comunista ad abbandonare la sala; essi erano convocati al Teatro San Marco per deliberare la costituzione del nuovo Partito Comunista.
L’annuncio fu accolto dagli applausi dei “secessionisti” che intonando l’Internazionale si avviarono all’uscita. Ordinati e in un corteo, seguito da un nucleo di Guardie Regie, si mossero verso il Teatro San Marco.
Intanto il Congresso socialista continuava i suoi lavori con i delegati rimasti nella sala e Bacci propose di affidare alla nuova Direzione del Partito, appena eletta, gli altri argomenti iscritti all’ordine del giorno perché fossero riproposti in un nuovo Congresso.
Al Teatro San Marco i lavori vennero aperti dal bulgaro Kabakcef il quale annunciò che il Comitato esecutivo della Terza Internazionale avrebbe riconosciuto come sezione Italia soltanto il nuovo Partito Comunista.
Il congresso stabilì che coloro che erano membri di Giunta comunali e Deputazioni provinciali dovevano dimettersi e costituirsi in gruppo comunista. Venne dichiarato con altro ordine del giorno la costituzione del gruppo parlamentare comunista composto di 18 deputati. La sede del partito veniva stabilita a Milano e l’organo ufficiale diveniva “Il comunista” bisettimanale pubblicato a Milano, mentre “L’Ordine Nuovo” di Torino restava l’organo dei comunisti torinesi e Gramsci ne conservava la direzione. Il Comitato centrale del partito era così composto: Fortichiari, Bordiga, Repossi, Misiano, Bombacci, Gramsci, Polano, Terracini, Gennari, Tarsia, Marabini, Parodi, Belloni Ambrogio, Grieco e Sessa.[1]
La scissione a sinistra con la nascita del Partito Comunista si consumava mentre crescevano nelle piazze gli scontri tra fascisti e “sovversivi”.
Nel 1921 i Fasci di combattimento di Livorno si riorganizzano, creando una struttura più forte legata al territorio; il 3gennaio alle ore 21.00 si era insediato il Consiglio direttivo dei Fasci combattimento, nei locali dell’Unione Liberale, insieme alla nuova Commissione esecutiva del Fascio di combattimento di Livorno[2]. Il 20gennaio usciva il primo numero di «A NOI!», organo del Fascio di combattimento di Livorno, direttore Paolo Pedani[3].
All’indomani della scissione sul giornale “La parola dei socialisti” i compagni che se ne vanno, i cosiddetti “puri”, i comunisti, sono tacciati di astrattismo. “Folgore”, l’autore dell’articolo, paventa che la scissione possa condurre alla disgregazione delle organizzazioni economiche di resistenza, delle Cooperative, delle amministrazioni pubbliche conquistate da poco, dopo anni ed anni di ininterrotta battaglia da parte del partito. “Folgore” richiama quindi all’unità ed evidenzia che ogni divisione non è che un favore fatto alla borghesia, per la quale non esiste né destra né sinistra, perché essa si presenta sempre unita quando deve difendere i propri interessi. Concludendo dopo tanta amarezza con uno slancio di ottimismo, con la speranza che seppure dopo un arduo percorso storico, il Partito sarebbe ritornato a ricomporsi in un tutto unitario, sospinto dalla necessità stessa degli eventi.[4]
Secondo Arfé[5]: “Il biennio che si apre con la scissione di Livorno e si chiude con la “marcia su Roma” sarà caratterizzato dalla incapacità della maggioranza massimalista di rendersi conto che la lotta è entrata in una nuova fase e di elaborare una linea di difesa attiva e tradurla in atto.”
A seguito delle determinazioni assunte dal Congresso, nella seduta del Consiglio Comunale del 21febbraio 1921 il Sindaco dava comunicazione delle dimissioni di Ilio Barontini dall’incarico di assessore supplente, precisando di non aveva ritenuto di far premure presso il collega per farlo recedere, considerate le ben note ragioni politiche[6]: “Noi, dice il Sindaco, abbiamo visto con dolore la scissione del partito del quale, invece, a torto, ha dimostrato godere la borghesia. Confida che: “qualora la gravità del momento lo richiedesse tutti saremo uniti contro il comune nemico.”
Nella stessa seduta veniva posta in approvazione la delibera di bilancio ed era la prima occasione di voto del neonato gruppo comunista.
Per il nuovo gruppo consiliare, il consigliere comunale Barontini dichiarava, a nome dei compagni comunisti, di approvare il bilancio nel suo complesso, specificando però, che mentre la minoranza bianca si duole del principio di espropriazione, “la frazione Comunista sostiene che la proprietà immobiliare dovrebbe essere gravata ancor di più di quanto lo sia, con la sovrimposta comunale del 380 per ogni 100lire di imposta erariale”. Mentre l’Assessore Bartorelli ribadiva che mentre la borghesia aveva raddoppiato i dazi di consumo che colpivano i lavoratori, i socialisti intendevano colpire i redditi degli abbienti.
Il bilancio veniva approvato con 40 voti favorevoli e 10 contrari. E conseguentemente nella seduta successiva del 22febbraio il Consiglio deliberava di approvare la sovrimposta sui terreni e sui fabbricati e la sovrimposta sui redditi di ricchezza mobile, punti cardinali del programma.
[1] La fine del congresso di Livorno dopo il distacco dei comunisti, “Corriere della Sera”, 22 gennaio 1921
[2] L’insediamento del consiglio direttivo dei fasci di combattimento, “Il Corriere di Livorno”, 3 gennaio 1921
[3] “A NOI!”, organo del Fascio di combattimento di Livorno, settimanale, Tipografia del Corriere di Livorno; poco dopo le elezioni del 1921 sarebbe cessato.
[4] Folgore, Dopo la scissione, “La Parola dei Socialisti”, 6 febbraio 1921.
[5] Arfé G., Storia del socialismo italiano (1892-1926), p. 304-305.
[6] CLAS, adunanza del Consiglio Comunale del 21 febbraio 1921