7novembre 2018 da Ruggero Morelli intervista di Francesco Gadducci e Tommaso Ferraro, uninfonews .it
Con l’arrivo del TEDx a Livorno, abbiamo voluto volgere il nostro sguardo verso quella parte di città produttiva e pionieristica che ben si sposa con eventi di questo calibro.
Abbiamo dunque deciso di intervistare *Darya Majidi, Ceo di Daxo Group, Ceo di Daxolab e fondatrice e presidente di Dcare. Le abbiamo rivolto alcune domande sulla sua esperienza e sulla sua visione di Livorno nel prossimo futuro.
D: Chi sei e di cosa ti occupi?
R: Sono un’imprenditrice con laurea in informatica, che negli anni ha creato alcune aziende tecnologiche. Il ruolo che mi sento più addosso è quello dell’innovatrice. Penso di aver portato l’innovazione nelle aziende, nella politica, nelle esperienze associative e sociali che ho fatto. Di fatto mi sono sempre sentita una pioniera. Ma soprattutto sono la mamma di una adolescente nativa digitale!
D: Di cosa ti occupi attualmente?
R: Ad oggi il mio tempo è dedicato a quattro filoni. Il primo è Daxolab, l’unico coworking accreditato di Livorno e l’unica Startup House certificata dalla Regione Toscana nella nostra Provincia. Offriamo spazi e servizi a professionisti ed aziende e soprattutto ci cimentiamo nell’attività di creazione di un network fra gli innovatori. Da noi ci sono moltissime realtà diverse che mettono insieme le competenze distintive di ogni singola azienda creando una sorta di ecosistema unico ed innovativo. Qui ci sono persone che si occupano di brevetti, proprietà intellettuale, marketing digitale, fotografia digitale, web agency, consulenza legale e finanziaria nonché giornalismo, poiché la testata Quilivorno è qui da noi, società che si occupano di informatica e nautica ed infine anche sedi di aziende multinazionali. Quindi si è creato un progetto sociale ed imprenditoriale incredibile in cui grandi e piccole aziende stanno insieme con micro e nano aziende.
Il secondo filone è rappresentato dalla Daxo Group che è una società di consulenza strategica. Il nostro focus è sull’Industria 4.0 e proponiamo consulenza e formazione sulle tecnologie e le competenze abilitanti dell’industria 4.0 come leve di sviluppo aziendale. Ci occupiamo di tecnologie come l’intelligenza artificiale, l’internet of things ma anche di competenze trasversali e comportamentali come le soft skills. Il terzo filone è indirizzato a colmare il gender gap delle donne in Italia, intersecato con il mio libro “Donne 4.0”. Coerentemente col tema del libro che ho scritto quest’anno abbiamo tenuto a Giugno a Livorno la prima edizione del percorso formativo di “Enpowerment delle donne per l’Industria 4.0” unico nel suo genere a livello nazionale. Il successo che abbiamo avuto ci ha spinto a rinnovare questo appuntamento ed a riproporlo l’anno prossimo con nuove ed ulteriori collaborazioni. Riguardo al libro “Donne 4.0” edito da Amazon, questo tratta il modo con cui poter conciliare la vita privata con la vita lavorativa utilizzando le nuove tecnologie e valorizzando le “mie 3C”: Competenza, Cuore e Coraggio.
Infine il quarto filone riguarda l’informatica sanitaria. Sono presidente della società Dcare, che è stata acquisita dalla Dedalus Group SpA. Portiamo l’innovazione negli ospedali grazie alle tecnologie Industria 4.0 per creare il cosiddetto Ospedale 4.0 . Come si vede, in questi quattro filoni troviamo un minimo comune denominatore che è rappresentato dall’innovazione.
Nella vita privata invece sono una mamma di una liceale amante della musica e sono socia di alcune associazioni no profit, per dare una mano alla mia comunità.
D: Cosa è una start- up e cosa è l’Industria 4.0?
R: Una start- up è una azienda nata da un’idea nuova, spesso tecnologica. Le start-up tipicamente nascono da persone con grandi competenze tecnologiche ma con poca padronanza del marketing e del mondo commerciale. Quindi quello che ci proponiamo di fare per queste aziende è di affiancarle ed insegnar loro a capire come affrontare il mercato. Come trasformare un’idea brillante in un prodotto/servizio che riesce a vendere e a creare business. Quindi una start-up è una giovane azienda, che a differenza delle altre grandi realtà, è a rischio non avendo spesso né fondi né liquidità. Noi cerchiamo, quindi, di incubarla nel vero senso della parola e di metterla in contatto con professionisti per farla crescere e sentire più protetta.
D: Quindi possiamo dire che è fondamentale per una star-up la presenza di incubatori ed acceleratori di start-up, venture capital e affini?
R: Si, ma con un approccio molto più pragmatico. Fino a poco tempo fa si parlava soprattutto di tecnologia e incubatori universitari. Aziende molto tecnologiche che rimanevano micro perché non erano in grado di rendere scalabile sul mercato la propria idea. Ora l’obiettivo è il “mercato” ed il valore che si crea per il mercato. Nel nuovo approccio, chiamato “from technology to businnes”, è fondamentale il valore che tu crei per il mercato e non la tecnologia che offri, perché si da per certo che tu abbia un prodotto tecnologicamente valido. Nei corsi che teniamo sul “Business Model Canvas” infatti si cerca di insegnare ai neo imprenditori che non si vende una “tecnologia” ma il “valore” di quella tecnologia per il cliente. Per quanto riguarda i venture capital ho avuto personalmente ben due esperienze aziendali, una molto positiva che ha fatto esplodere le potenzialità della nostra start-up e una molto negativa che ci ha portato invece alla fine dell’azienda. Se dovessi parlare con dei ragazzi in questo momento storico, suggerirei vivamente di rafforzarsi un po’ prima di approcciarsi a questi mondi e, poi, quando l’idea è un po’ più robusta e solo se c’è bisogno di finanze per lo sviluppo, di appoggiarsi ai venture capital che possono essere un volano di crescita. Spesso il mondo finanziario è troppo distante dal mondo industriale e non bastano solo i soldi per far decollare una azienda. Anzi a volte i soci finanziari che non hanno a cuore lo sviluppo a lungo tempo della società, ma il profitto a breve tempo possono addirittura danneggiarla. L’importante è creare valore duraturo per se stessi e per la propria comunità.
D: Per quanto riguarda Livorno, una città che è passata da una forte industrializzazione ad un forte crisi. Quali sono le prospettive per questa città dal suo punto di vista?
R: Durante la mia esperienza politica da assessore del Comune di Livorno, con il supporto degli uffici comunali, abbiamo raggiunto alcuni risultati concreti di cui Livorno deve essere fiera: la città è stata cablata, sono state create le isole wifi e quasi tutti i servizi comunali sia per le imprese sia per i cittadini sono stati portati on-line spingendo la città verso il concetto di Smart City. Servizi molto utili sia per i cittadini che per le imprese, tanto da averci fatto vincere premi e riconoscimenti per l’innovazione a livello nazionale e internazionale . Questa è una eredità che ho lasciato alla città, tangibile e concreta che nessuno può negare o cancellare. Ma in quegli anni di recessione ho toccato con mano la vera criticità della nostra città, ovvero che negli anni passati Livorno è passata da essere una città in mano al “Pubblico” ad essere una città in mano alle “Multinazionali” con uno approccio industriale basato sulla riduzione dei costi aziendali. Ma sui costi del lavoro e dei servizi ovviamente Livorno non poteva competere non solo con la Cina, ma neanche con i paesi dell’Est. Quindi durante la recessione abbiamo perso molte aziende e molti posti di lavoro. L’evoluzione positiva, invece che in questi anni hanno avuto alcune nostre aziende (soprattutto nel settore della meccanica avanzata e dell’elettronica ) ha portato a far capire finalmente l’importanza della Ricerca e Sviluppo e del capitale umano nelle società. Un chiaro esempio di ciò, è l’acquisto recente di Dialog da parte del colosso Apple, dimostrando che investire nel capitale umano e nella Ricerca e lo Sviluppo rende più appetibili e solide le aziende. Se il porto di Livorno fosse informatizzato attraverso “Industria 4.0” avrebbe un vantaggio competitivo pazzesco, ed infatti qualche progetto in tal senso è stato fatto, ma si potrebbe fare sicuramente di più.
Non c’è più dualismo tra industria e servizi: anzi, stiamo andando verso quello che definiamo la servilizzazione dell’industria, verso un terziario industrializzato, in un mondo immateriale, dove il valore risiede nell’accesso a servizi e competenze. La Daxolab, ha successo proprio perché offre la possibilità (tramite la sharing economy) ai professionisti e alle imprese, di accedere a servizi e competenze e non di al possesso di un ufficio. I giovani istruiti e competenti saranno i veri protagonisti di questi nuovi modelli di business e a Livorno c’è molto ritardo da colmare.
D: Il TedX finalmente sbarcherà a Livorno, entusiasta della riuscita di questo format?
R: Ci sono città che hanno già 10 anni di TedX alle spalle e questo dimostra che sicuramente siamo in ritardo. Il fatto che Livorno sia considerata “area di crisi complessa”, fa ben capire quanto un evento del genere possa essere positivo e possa finalmente smuovere qualcosa. Con le aziende di Daxolab stiamo cercando di dare una mano al comitato organizzatore affinché il TEDxLivorno sia un successo. Personalmente sono stata invitata come speaker ad un TEDxWomen in un’altra città e a Dicembre potrò svelare quale!
D: Esperienze come Station F a Parigi, possono insegnare qualcosa a questa città?
R: Di esperienze interessanti ce ne sono moltissime anche qui vicino a noi. Guardiamo e impariamo da tutti, ma inviterei a guardare anche alle nostre eccellenze , vedi l’Università Sant’Anna di Pisa e la Normale. Se riuscissimo davvero lavorando con i ragazzi livornesi ed i professori a far capire che le potenzialità di Livorno sono immense, sarebbe un gran passo avanti. Dobbiamo scrollarci di dosso questa idea di una Livorno viva solo grazie alle multinazionali, al porto e al pubblico. Non dico che debbano esistere solo start-up innovative, anzi non credo sia fattibile. Ma le aziende strutturate devono rinnovarsi e assumere personale giovane e qualificato. Devono partire nuove idee, nuove grandi imprese, ed è proprio la vostra generazione che deve avere questo moto di orgoglio, uno spirito di intrapresa, e agire in questo campo.
D: Cercando di vedere un futuro per Livorno, non possiamo non pensare al Turismo. Ma quello che ci chiediamo è: Livorno sarebbe pronta a modificare radicalmente se stessa pur di aprirsi in maniera più intraprendente al crescente numero di turisti che si avvicinano alla città?
A mio parere, non è necessaria una rivoluzione radicale, ma un cambiamento culturale lento e ben ponderato. Già ora, abbiamo un netto miglioramento nell’accoglienza riservata ai turisti. Abbiamo milioni di crocieristi che arrivano sulla nostra città e pian piano stiamo offrendo loro qualche nuovo servizio. C’è ancora molto da fare, ma lentamente vedo che ci stiamo aprendo al turismo. La nostra città non ha mai avuto un distretto di piccole e medie imprese innovative; c’erano le aziende statali e il Porto e bastavano. Ma con il venir meno di queste due grandi realtà, Livorno deve cercare un punto di svolta e diversificare e il turismo è sicuramente un valido elemento di sviluppo. Mi piacerebbe infatti che i giovani prendessero in mano le redini della scena politica, e pensassero bene a questo aspetto. Esempi? Turismo sportivo, turismo religioso, turismo enogastronomico. Abbiamo le cantine con i vini più buoni al mondo nella nostra Provincia, il Santuario di Montenero che richiama migliaia di pellegrini da tutta Italia, un arcipelago di isole fantastiche con enorme potenziale. Non ci manca niente!