Agrochimica. La tedesca Bayer compra la statunitense Monsanto per 66miliardi di dollari
16settembre 2016 da Antonio Sciotto, pubblicato su “Il Manifesto”
Agricoltori e ambientalisti: «Biodiversità a rischio». Cia e Coldiretti: con il monopolio i prezzi potrebbero salire. Greenpeace mette in guardia sulla diffusione del glifosato.
Il matrimonio alla fine è andato in porto: la tedesca Bayer ha acquisito la statunitense Monsanto per 66miliardi di dollari. Nasce così un colosso dell’agrochimica che secondo le associazioni dei coltivatori e gli ambientalisti minaccia di costituire un oligopolio, se non in alcuni casi un vero e proprio monopolio, nel campo delle sementi, dei fitofarmaci e degli Ogm.
Già Bayer controllava il mercato dei pesticidi, mentre Monsanto quello delle sementi: la fusione porterà il nuovo gigante al 24% e al 29%dei due rispettivi comparti. Settori chiave non solo per l’agricoltura, ma anche per la sicurezza del nostro cibo. Si tratta della maggiore acquisizione aziendale da parte di una società tedesca all’estero. Bayer prevede che l’operazione inciderà in positivo sugli utili a partire dal primo anno pieno dopo la chiusura, prevista entro la fine del 2017, e ritiene di realizzare sinergie su costi e vendite per 1,5 miliardi di dollari a partire dal terzo anno. La convenienza finanziaria e industriale è insomma evidente, agendo le due multinazionali in mercati perfettamente integrabili. Più preoccupati appaiono, al contrario, gli operatori del settore agricolo, che a questo punto temono ad esempio il rialzo dei prezzi.
«La fusione tra i due colossi sposterà sicuramente gli equilibri di mercato – commenta il presidente della Cia-agricoltori italiani, Dino Scanavino – Noi monitoriamo con occhio vigile su quello che più ci interessa, ovvero che non sussistano elementi per la creazione di un vero e proprio monopolio di mercato delle sementi, della chimica e dei mezzi tecnici necessari ai produttori».
Secondo Coldiretti, «Monsanto è stata spinta a vendere dallo storico flop delle semine Ogm, crollate del 18% in Europa nel 2015 e per la prima volta arretrate a livello mondiale, con 1,8 milioni di ettari coltivati in meno. È la conferma della crescente diffidenza dei produttori nei confronti di una tecnologia che non rispetta le promesse miracolistiche». Il matrimonio tra i due colossi della chimica «genera, prosegue Coldiretti, una posizione di oligopolio che aumenta anche lo squilibrio di potere contrattuale nei confronti degli agricoltori. È evidente la necessità per l’Italia di salvaguardare il patrimonio unico di biodiversità di cui dispone con un maggiore impegno nel presidio di un settore determinante per la difesa dell’ambiente ma anche per la competitività del made in Italy».
«C’è il rischio di un possibile incremento dei prezzi delle sementi per gli agricoltori, ma non nell’immediato», conferma Felice Adinolfi, docente di Economia e politica agraria all’Università di Bologna. Adinolfi aggiunge che c’è però «ancora un’incognita per il via libera definitivo»: nel contratto, le cui trattative erano iniziate a maggio scorso, è stata concordata una penale di 2 miliardi di dollari nel caso in cui arrivasse lo stop dell’Antitrust Usa.
Il timore quindi, non riguarda solo gli operatori economici, preoccupati dalla restrizione della concorrenza e costretti di fatto a rivolgersi a un fornitore unico, ma anche le associazioni ambientaliste e dei consumatori. Il nodo della biodiversità, infatti, impatta direttamente su quello che mettiamo in tavola, sulla nostra dieta.
Allarme anche da Greenpeace: la responsabile campagna Agricoltura sostenibile Federica Ferrario, proprio sul manifesto, aveva già in maggio evidenziato diversi pericoli: «Monsanto commercializza un erbicida, il glifosato, con il nome di Roundup: dopo una valutazione dell’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (IARC) è sospettato di provocare il cancro negli esseri umani, oltre che rappresentare un rischio grave per la biodiversità». «L’esperienza, conclude Greenpeace, ci mostra che una maggiore concentrazione porta a: focalizzarsi e sviluppare solo poche colture e varietà (pericolo per la biodiversità); un probabile aumento del costo delle sementi; una maggiore pressione sugli agricoltori».