Il declino della prima stagione dei governi progressisti latinoamericani sfocerà in una nuova fase popolare e di lotta nel sub-continente?
6ottobre 2018 di Andrea Vento (Gruppo Insegnanti di Geografia Autorganizzati)
A partire dall’inizio del nuovo millennio in America Latina si è aperta una fase evolutiva sostanzialmente inattesa, a testimonianza del fatto che il Sub-continente, seppur a lungo depredato e sottomesso non era stato completamente soggiogato. Movimenti, forze politiche progressiste e comunità indigene, provati dai fallimenti di un ventennio di politiche neo-liberiste, hanno preso consapevolezza (forse illuminati dall’esperienza Zapatista in Messico) delle proprie potenzialità, aprendo una stagione di rivendicazioni e di progettualità politica in larga misura imprevista. L’elezione in Brasile, a Presidente della Repubblica, di Luiz Inacio “Lula” da Silvia nel 2002, ha sancito il decollo di una nuova fase, avviata dalla vittoria di Chavez alle presidenziali venezuelane del 1998, che nel giro di pochi anni ha visto l’ascesa di governi di diversa natura politica e in totale rottura con la storia, recente e passata, dell’intero Sub-continente.
Nel 2009, anno che ha rappresentato l’apogeo della stagione dei governi progressisti latinoamericani, addirittura otto dei dieci principali paesi dell’America Meridionale erano governati dalla sinistra, nelle sue varie declinazioni. Oltre al Salvador, al Nicaragua, all’Honduras, alla Repubblica dominicana e al Guatemala in America Centrale. In quest’ultimo paese, così come in Paraguay, era la prima volta nella propria storia che i progressisti salivano al potere.
La reazione delle forze conservatrici e imperialistiche non ha tardato molto ad arrivare presentandosi in vesti diverse e più raffinate rispetto ai cruenti Golpe dei decenni passati: oggi assume la forma di uno strangolamento economico del Venezuela, di un colpo di Stato parlamentare in Brasile ai danni di Dilma Rousseff o di una giudiziarizzazione della politica, con l’arresto di Luiz Inácio Lula da Silva sempre in Brasile e con le minacce contro l’ex presidente Cristina Fernández de Kirchner in Argentina, ma anche contro il vicepresidente Jorge Glas in Ecuador. A seguito di questa controffensiva restauratrice, sommata a limiti propri nelle scelte di politica economica (estrattivismo redistributivo, mancanza di riforme incisive, corruzione ecc..), in Sudamerica attualmente rimangono in carica solo tre governi progressisti, in Venezuela, in Bolivia e in Uruguay vista la nuova linea politica di Lenin Moreno, l’ambiguo successore di Correa, in Ecuador che, dopo essere entrato in rotta di collisione col suo predecessore e col proprio partito “Alianza PAIS”, ha intrapreso un radicale cambio di rotta a livello geopolitico dichiarando, il 23 agosto l’uscita del paese dall’Alba (varata da Fidel e Chavez a fine 2004) e attuando il contemporaneo avvicinamento alla filo-statunitense Alleanza del Pacifico.
Tabella 1. Situazione politica nei principali stati dell’America Meridionale:
Stato | Attuale Presidente | Inizio mandato | Orientamento politico |
Argentina | Mauricio Macri | Novembre 2015 | Centro Destra |
Bolivia | Evo Morales | Gennaio 2006 – 2010 – 2015 | Sinistra/Centro- Sinistra |
Brasile | Michel Temer | 31 agosto 2016 | Centro Destra |
Cile | Sebastian Piñera | 2010 -13 e marzo 2018 | Destra/Centro-Destra |
Colombia | Ivan Duque | Agosto 2018 | Destra |
Ecuador | Lenin Moreno | Maggio 2017 | Centro-Sinistra |
Paraguay | Mario Adbo Benitez | Agosto 2018 | Destra |
Perù | Martin Viczarra | Marzo 2018
(subentrato a Kuczynski) |
Destra |
Uruguay | Tabarè Vazquez | Marzo 2005 –
marzo 2015 |
Centro-Sinistra
|
Venezuela | Nicolas Maduro | Marzo 2013 –
Maggio 2018 |
Sinistra |
L’attuale fase latinoamericana è dunque caratterizzata da un’evidente crisi della stagione dei governi progressisti che, iniziata a fine 2015 con la vittoria del liberista Macri in Argentina, è definitivamente tramontata a fine 2017 con il ritorno del magnate televisivo Sebastian Pinera alla presidenza del Cile, ponendo in grave incertezza il fecondo processo di integrazione regionale simmetrico (fra stati con stesso livello di sviluppo economico) sviluppatosi negli ultimi lustri. La situazione geopolitica del sub-continente, a seguito anche dell’aumento delle pressioni dell’amministrazioni Trump, risulta contrassegnata da incertezze e tensioni che vanno intensificandosi principalmente sul governo venezuelano e sulle principali potenze regionali. Scenario complesso che, ovviamente, non sfugge nemmeno alle classi subalterne e ai movimenti sociali, contadini e indigeni del Sub-continente che non a caso hanno ripreso forza ritornando in massa in piazza contro i provvedimenti antipopolari adottati, non solo in politica economica, da Macri e Temer e che hanno prodotto pesanti effetti sulle loro condizioni di vita.
La prima stagione dei governi progressisti latinoamericani è irrimediabilmente in fase declinante ma, come la storia ci insegna, mentre il vecchio si esaurisce talvolta già si intravedono i nuovi germogli. In particolare in Brasile nel quale, viste le difficoltà giudiziarie di Temer e le nuove elezioni presidenziali all’orizzonte, il Frente Brasil Popular si è riorganizzato dal basso aggregando una galassia di oltre 80 movimenti. Tuttavia, dopo la sentenza definitiva del Tse (Tribunale Supremo Elettorale) del 31 agosto che impedisce a Lula di candidarsi, sosterranno, insieme al Partito Comunista Do Brasil della giovane leader Manuela D’Ávila, il vicepresidente del Partito dei Lavoratori (Pt), Fernando Haddad. Lo spostamento a sinistra della coalizione che fa perno sul Pt ha prodotto una diversificazione delle candidature all’interno della sinistra: al primo turno del 7 ottobre si presenteranno infatti, oltre a Marina Silva per i Verdi, per il Psol (Partito Socialismo e Libertà) Guilherme Boulos, affiancato da Sônia Guajajara, la prima indigena nella storia del Paese a concorrere, sia pure come vice, alle elezioni presidenziali, mentre il Pdt (Partito Democratico Laburista), candiderà Ciro Gomes. Questi candidati dovranno trovare un accordo per sbarrare la strada alle destre che si coalizzeranno intorno al candidato di estrema destra l’ex parà, nazionalista e sessista, Jair Bolsonaro all’inevitabile ballottaggio del 27 ottobre, visto il vantaggio di quest’ultimo nei sondaggi rispetto al candidato di sinistra. Nelle ultime rilevazioni demoscopiche della Datafolha, diffuse a tre giorni dalle elezioni, Bolsonaro grazie all’appoggio delle Chiese Evangeliche, oltre a quelle già acquisite degli agrari e della finanza, sale di altri 3 punti raggiungendo il 35%, mentre Fernando Haddad, con un aumento dell’1% resta distanziato al 22%.
Lo stesso sondaggio, tuttavia, conferma che la partita si giocherà al ballottaggio nel quale il candidato del Pt, si trova al momento in sostanziale pareggio con Bolsonaro: 43 contro 44%.
I risultati delle presidenziali brasiliane avranno effetti non solo all’interno del paese ma produrranno anche importanti riflessi negli equilibri geopolitici dell”intero sub-continente soprattutto per quanto riguarda il futuro del Mercosur, che in questi ultimi, grazie a Temer e Macri, ha assunto i connotati di organizzazione sovranazionale di stampo liberista, viste le lunghe trattative in corso con l’Ue per la sottoscrizione di accordo commerciale fra le due organizzazioni. La netta affermazione del progressista Andres Manuel Lopez Obrador (tabella 2) al primo turno delle recenti elezioni presidenziali messicane è un segnale di speranza per la nascita di una nuova stagione progressista in tutta l’America Latina che superi gli errori e i limiti del passato e metta al centro gli interessi esclusivi dei ceti popolari, delle comunità indigene e dell’ambiente, attuando profonde riforme nella struttura economica e sociale interna dei paesi partendo dalla riduzione degli squilibri, ancora i più marcati su scala globale, e dalla riforma agraria che riduca gli immensi latifondi e distribuisca la terra ai milioni di campesinos che ancora ne sono privi. E’ ufficialmente aperto il cantiere che dovrà ripensare, su basi diverse, una nuova stagione progressista.
Tabella 2. Situazione politica del Messico e dei principali stati dell’America Centrale:
Stato | Attuale
Presidente |
Inizio mandato | Orientamento politico |
Costa Rica | Carlos Alvarado | Maggio 2018 | Centrosinistra |
Cuba | Raul Diaz-Canel | Aprile 2018 | Sinistra |
Rep.Dominicana | Danilo Medina | Agosto 2012 | Centro |
El Salvador | Salvador Cerén | Giugno 2014 | Sinistra |
Guatemala | Jimmy Morales | Gennaio 2016 | Destra |
Haiti | Jovenel Moise | Gennaio 2017 | Centro/Destra |
Honduras | Juan Hernandez | Gennaio 2014 -2018 | Destra |
Nicaragua | Daniel José Ortega | 1985-90 e 2007 – 2011 – 2016 | Sinistra? |
Panamá | Juan Carlos Varela | Luglio 2014 | Centro – Destra |
Messico | Andres Manuel Lopez Obrador | Dicembre 2018 | Sinistra |