Spazio Generazione Clima: l’enorme padiglione ambientalista a fianco del bunker dei governi. In un quartiere popolare di Parigi la Zona d’azione per il clima (ZAC)
11dicembre 2015 di Alfonso Navarra, Parigi
Lo Spazio Generazione Clima (CGS), proprio di fianco al bunker dei governi che tengono i negoziati ufficiali della COP21, è un luogo fisico ed un luogo politico. Personalmente penso che non sia un caso il fatto che questa prima assoluta nella storia delle conferenze Onu sia stata fortemente voluto dalla presidenza francese della Cop21. La retorica sottostante è stata espressa in prima persona da Hollande che ha inaugurato lo spazio: nella lotta al riscaldamento climatico la cittadinanza attiva sarebbe protagonista allo stesso modo degli Stati!
CGS, come luogo fisico, è una vastissima area (30.000 mq), esteticamente gradevole, ricavata dal vecchio aeroporto di Parigi dismesso, che ospita un centinaio di stand gestiti dalla società civile internazionale. Come luogo politico, 340 tra associazioni e organizzazioni “accreditate” danno vita a oltre 360 conferenze, 60 proiezioni, una ventina di esposizioni e 600 progetti. Solo a raccogliere in giro, tavolino per tavolino, presentazioni, opuscoli, volantini si potrebbe riempire una pesante valigia! Una fiera delle idee, in sé anche belle, in cui ciascuno propone la sua “mercanzia” dell’impegno ambientalista, ma in cui temo si perda l’efficacia della pressione unitaria (mancata) sui leader politici: troppe voci equivalgono di fatto a nessuna voce. O meglio ad un rumore di fondo che suona come sostegno emotivo agli sforzi negoziali. E’ come se da tutte le voci che si danno l’una sull’altra salisse una invocazione confusa e lamentosa: “fate di più, fate bene, fate con giustizia”. Può bastare? Ai posteri che vivranno la crisi climatica (se scamperanno la guerra nucleare) l’ardua sentenza…
Quello che impera è un “progettificio” disseminato in mille rivoli, che male in fondo non fa, ma che nemmeno va alla radice dei problemi. (Il che non significa la solita, vecchia risposta della sinistra ideologica che vuol dire meno di nulla: dobbiamo abbattere il capitalismo! Vale a dire? Cosa bisogna abbattere? la logica del profitto? cioè? come?). E’ il pericolo dell’essere costruttivi senza essere al contempo contestativi, isolando questioni che invece dovrebbero procedere di pari passo, quali ecologia, eguaglianza, diritti umani, disarmo e pace.
Puoi anche costruire delle multinazionali della sperimentazione sociale ma senza che questo faccia fare dei passi avanti nelle condizioni di ingiustizia e di violenza che sono alla base dei problemi. E questa costruttività che mette in secondo piano la contestatività alla fine può essere sfruttata da quello che viene definito “greenwashing” dei poteri economici e delle corporations. E’ il discorso, ad esempio, della “transizione” energetica che si oppone di fatto alla “rivoluzione” necessaria per un sistema rinnovabile al 100% subito, come argomentava Hermann Sheer.
Winnie Byanyma, la direttrice sudafricana di OXFAM, la più grande ONG per la cooperazione allo sviluppo (presente in circa 100 Paesi con 10.000 stipendiati e 1 miliardo di dollari di budget) dovrebbe spiegare perché, secondo lei, UNILEVER ed IKEA sarebbero seriamente impegnate per una economia decarbonizzata.
Sicuramente è una persona dolce e affabile, che si presenta bene, di grande comunicativa verso la stampa. Ecco quello che ha dichiarato in una conferenza tenuta il 7 dicembre a Le Bourget: “E’ proprio eccitante vedere che la gente non aspetta i governi per darsi da fare e tentare di trovare delle soluzioni”.
E fa i suoi esempi: “I contadini del Salvador che sviluppano la geotermia. I bambini del Ghana che fabbricano delle biciclette di legno. I lavoratori che innovano i sistemi di mobilità in Indonesia. Non aspettano gli Stati. Abbiamo bisogno che queste esperienze diventino la norma e non l’eccezione”.
Ho l’impressione che sia difficile “normalizzare” l’intraprendenza di base in un mondo in cui l’1% detiene il 50% delle ricchezze ed in cui la finanza globale, sostenuta dai governi, funziona da “aspiravolvere” per il denaro verso le élites (possedere ciò che misura le cose finisce per diventare controllo sulle cose stesse).
Prendiamo lo stesso Hollande che vince le elezioni contro l’austerità e poi si propone come paladino della medesima tradendo il suo popolo: non è questo tipo di politici ipocriti che bisogna combattere nel momento stesso in cui si dà vita ad una cooperativa per l’autogestione energetica? Non sono i politici che inseguono e sdoganano le idee della destra coloro che consegneranno il futuro agli eredi dei simpatizzanti di Hitler? Crediamo che avremo spazio per sviluppare i nostri campicelli biologici in un mondo che chiude le libertà politiche e civili con la scusa che bisogna “estirpare senza pietà il terrorismo islamico” proclamando guerre immaginarie, stabilendo stati di emergenza e praticando bombardamenti inconsulti?
Con un carattere più movimentista rispetto alla CGS, a rappresentare la continuità con la catena umana del 29 novembre, con le riunioni antinucleari del 6 giugno e con il Forum delle alternative di Montreuil, si propone la Zona d’azione per il clima (ZAC), che si tiene in un quartiere popolare di Parigi, dal 7 all’11 dicembre. Al “CentQuatre”, in rue Curial, n. civico 5, la ZAC è stata insediata quale “quartier generale della “Coalition climat 21”. La Coalizione raggruppa più di 130 organizzazioni. La ZAC si svolge come una assemblea di attivisti (nel tardo pomeriggio) per fare il punto sui negoziati e sulle iniziative da intraprendere. Luogo d’informazione gratuita, la ZAC propone mostre come quella di ImmerCité, o quella degli eco-hackers di POC21 e OutShare. Ogni giorno, una trasmissione di Radio Campus dalle 13.00 alle 15.00 si propone di “fare perdere il 20% al Fronte Nazionale e 2° C al clima”.
La Coalizione per il clima in Italia, non so in Francia questa “Climat21” mi lascia un po’ perplesso proprio perché, leggo sul suo manifesto (rinvenibile alla URL: http://www.coalizioneclima.it/manifesto/), accetta l’obiettivo dei 2° C di aumento. Nel manifesto leggo che la Coalizione vuole “interloquire con il governo italiano e con l’Unione Europea perché assumano posizioni utili in sede di COP21, a cominciare dal formale riconoscimento che la ‘Just Transition’ debba essere parte integrante del quadro politico che l’UE adotterà per organizzare la transizione verso un’economia a basse emissioni di carbonio oltre il 2020”.
Questo significa appunto accettare, di fatto, come accennavo all’inizio del pezzo, una “transizione energetica” che non è “rivoluzione energetica”: quella che, ad esempio, stanno ora programmando, governo e multinazionali, al Forum internazionale dell’innovazione e dell’energia, che si tiene addirittura allo stadio di Parigi. E’ un po’ quello che rimproverano i “decrescitisti” quando prendono di mira l’ossimoro dello “sviluppo sostenibile”: la concretezza non sta nel conciliare l’inconciliabile ma nel perseguire la coerenza di concezioni e parametri diversi da quelli espressi dal cosiddetto “mix energetico”.
Per le multinazionali energetiche il solare e le rinnovabili sono “il quarto cavallo della biga” di cui esse stesse sono l’auriga alla guida. Ma noi dovremmo, credo, puntare ad una dinamica alternativa, fondata su piccole e medie imprese diffuse alla Eurosolar di cui era presidente Sheer, e sul ruolo decisivo delle municipalizzate locali nel creare una infrastruttura pubblica. Tutto il resto potrebbe essere solo imbroglio, “greenwashing” alla Volkswagen: la mobilità verde non è l’auto privata per tutti usata senza limiti (con le marmitte catalitiche che triturano gli inquinanti e creano nanoparticelle) ma un modo più intelligente di spostarsi incentrato sul trasporto pubblico…