Sono qui da giorni accreditata con un gruppo mondiale di donne a seguire la Conferenza mondiale sul Clima voluta dalle Nazioni Unite
10dicembre 2015 di Annalisa Milani, Parigi -Le Bourget
Centonovantasei governi e migliaia e migliaia rappresentanti della società civile mondiale, tra cui metà donne, per decidere che fare di un modello di sviluppo che sta provocando, in un accelerazione paurosa, un surriscaldamento climatico dalle conseguenze tra pochi anni disastrose, su tutto il pianeta
A dire il vero dopo tante conferenze mondiali sullo sviluppo sostenibile, sull’impoverimento umano e del pianeta, è la prima volta che percepisco anche nei rappresentanti dei governi la preoccupazione (sopratutto la coalizione dei 43stati delle piccole isole che rischiano la sparizione!) di fare presto!
Ma tra il dire ed il fare c’è di mezzo il mare! Anche 5 anni fa a Coophenanghen ci si era accorti della situazione ma, il documento finale che ne uscì è risultato “nullo”.
La Francia vuole che il documento finale, che uscirà mercoledì, rifletta impegni precisi per la riduzione già a partire dal 2020 del Co2 da raggiungere, meno 2° nel 2050. La febbre del pianeta va fermata!
Ora le ONGs di donne sono moltissime da tutte le parti del mondo e, stamattina mi hanno chiesto di intervenire in un piccolo dibattito su “donne e cambiamenti climatici”. Mi pare importante riportarvi in poche linee le voci:
- C’è preoccupazione tra tutte le donne perché nel documento finale che dovrebbe uscire mercoledì prossimo ,non c’è menzione reale del legame tra “condizione di vita di milioni di donne al mondo ,che sono riconosciute come i soggetti che hanno in mano le risorse del cibo,e i cambiamenti climatici (inondazioni,siccità, etc) che le renderanno più vulnerabili.
- C’è preoccupazioni perché molti paesi guidati da Arabia Saudita,Cina ,India non se la sentano ancora di porre limitazioni climatiche.(L’ Europa contrariamente a quanto pensavo ,con tutte le contraddizioni ,sta tentando di alzare la voce).
- C’è preoccupazione perché anche se le donne venissero riconosciute tra i soggetti più vulnerabili dei cambiamenti climatici ed ambientali conseguenti ,dovranno essere riconosciute anche come agenti di cambiamento ed avere le risorse finanziarie necessarie per avere tecnologie che permettano di compiere azioni, progetti “green”.
Nel dibattito alcune parlamentari africane hanno iniziato un po’ a “piangersi addosso ” portando avanti sempre il solito discorso della mancanza di risorse finanziarie. Finalmente devo dire con grande soddisfazione mia e di altre, le stesse donne africane di alcune Ongs le hanno contestate dicendo “basta, le risorse ci sono… solo che non vengono spese per le donne nel terreno”.
Mi piace riportarvi le parole di una battagliera del Burkina Fasu, Zenabou Segda (Women Environmental Programme Burkina), che ha detto: “Sono stanca di pensare che le donne povere del mio paese non sanno che fare con la sopravvivenza! Sanno come se “debrouillez” e la mia Ong sta conducendo una battaglia anche sui comportamenti es: perché si dice loro andate a prendere la conserva in tubetto che viene dalla Cina… trasportata via aereo (inquinante quindi ..!) e non andate a piantare voi i pomodori o a comperarli dalla vicina di mercato?”… Brava, se tutte le donne, Nord e Sud, avessimo la stessa consapevolezza… forse, il vero cambiamento inizierebbe subito!