Tegucigalpa. Il «Guardian» rivela i risultati dell’inchiesta sull’omicidio dell’ambientalista
2marzo 2017 di Geraldina Colotti, il manifesto
Un omicidio di Stato. L’ambientalista honduregna Berta Caceres, uccisa un anno fa, è stata oggetto di «un’operazione pianificata dagli 007 delle Forze speciali addestrate dagli Usa». Un articolo del Guardian riporta gli elementi dell’inchiesta in corso sull’assassinio dell’indigena lenka, da cui «emerge il coinvolgimento di elementi dell’intelligence militare». L’autorevole quotidiano britannico afferma che, tra le 8 persone arrestate e sotto accusa per il crimine, almeno tre «hanno fatto parte delle unità d’elite».
Nel 2015,
Caceres aveva ricevuto il prestigioso Premio Goldman per l’ambiente, per le sue battaglie in difesa dei territori indigeni contro le multinazionali. Come leader dell’organizzazione indigena e contadina Copinh, Berta aveva partecipato all’Incontro mondiale di papa Bergoglio con i movimenti popolari e il pontefice l’aveva ricevuta in Vaticano. Quando è stata uccisa avrebbe dovuto essere sotto protezione dello Stato per le ripetute minacce ricevute, che aveva denunciato anche al manifesto. Il 2 marzo dell’anno scorso, invece, almeno 4 uomini entrarono in casa sua e l’ammazzarono, ferendo anche l’attivista messicano Gustavo Castro, che si trovava con lei. Castro fu anche trattenuto dalla polizia, che cercò di accreditare la tesi dell’omicidio passionale.
Sostiene invece la fonte del Guardian:
«È inconcepibile che qualcuno con un simile alto profilo, la cui campagna si era trasformata in un problema di Stato, possa essere assassinato senza autorizzazione almeno implicita degli alti comandi militari». E rileva come, la notte dell’omicidio, il posto di blocco all’entrata della città, di solito presidiato da soldati e polizia, era stato lasciato incustodito. Lo Stato honduregno ha cercato di occultare la natura del crimine: le connivenze politiche tra i vertici delle grandi imprese che operano senza controllo in Honduras, l’establishment, e i militari, che invece emergono dall’inchiesta.
A seguito delle pressioni internazionali,
sono stati arrestati cinque civili. Fra questi, Sergio Rodriguez, gerente dell’impresa idroelettrica Agua Zarca, che gode di grandi finanziamenti internazionali, e contro la quale si batteva Berta. Un progetto della Desa, la società denunciata da Berta, la cui direzione evidenzia l’intreccio di interessi che la sostiene. Roberto Castillo, ex ufficiale dell’intelligence militare ne è il presidente, mentre il suo segretario, Roberto Pacheco Reyes è un ex ministro della Giustizia. Tra il 2013 e il 2015, la Desa ha assunto come responsabile per la sicurezza l’ex tenente Douglas Bustillo, un altro sospetto dell’omicidio Caceres, che ha lasciato l’esercito nel 2008. Insieme a Mariano Diaz – decorato delle forze speciali, capo dell’intelligence militare dell’esercito nel 2015 – Bustillo è stato addestrato negli Usa, nella tristemente nota Scuola delle Americhe, fucina di torturatori.
Secondo i dati del Guardian,
prima di essere arrestato, Diaz – pur coinvolto nel traffico di droga – stava per essere promosso a tenente colonnello. Un terzo implicato, Henry Hernandez, ha un passato da franco tiratore nelle Forze speciali, dove aveva operato al comando di Diaz. Secondo i giudici, dopo aver lasciato l’esercito, nel 2013, sarebbe diventato un informatore dei servizi. Hernandez, che è stato arrestato in Messico, è stato l’unico dei sospettati ad aver ammesso la partecipazione al crimine, pur sostenendo di essere stato costretto. Le intercettazioni proverebbero peraltro la partecipazione di esperti Usa fin dall’inizio dell’indagine. Già l’anno scorso, un ex soldato aveva rivelato al Guardian che Berta si trovava nella lista delle persone da assassinare.
Dopo il golpe contro Manuel Zelaya,
nel 2009, si sono intensificate le concessioni alle grandi imprese multinazionali, che rubano terre e risorse ai popoli indigeni. Un golpe sostenuto dagli Usa, come ha confessato l’ex candidata democratica statunitense Hillary Clinton nelle sue memorie. La «colpa» di Zelaya – ora nuovamente candidato alla presidenza – era stata quella di voler portare il paese nell’Alleanza bolivariana di Cuba e Venezuela. L’Honduras, bastione di Washington per tutto il secolo scorso, da cui è partita la guerra dei Contras al Nicaragua sandinista, e a tutt’oggi sede della più importante base militare Usa dell’America latina, non doveva sfuggire.
La resistenza di Berta
e del popolo Lenka intralciava interessi troppo grandi. Dopo di lei – ha denunciato anche l’ultimo Rapporto di Amnesty International -, sono stati uccisi altri sette attivisti per i diritti umani. Gli omicidi sono preceduti da una campagna diffamatoria, persecutoria e da minacce pubbliche. La settimana scorsa, il Congresso ha approvato una legge che definisce «terrorista» anche chi partecipa a una manifestazione, passibile di condanna fino a 50 anni di carcere. «L’Osa – ha detto Zelaya – attacca il Venezuela, ma non si preoccupa dei diritti umani in Honduras. Il popolo continuerà a resistere. E noi dobbiamo essere disposti a morire».