Le logiche di ristrutturazioni, di joint-venture, ma soprattutto di delocalizzazione (sul territorio nazionale e a livello internazionale) oggi coinvolgono non solo i grandi gruppi industriali multinazionali, ma toccano sempre più anche le medie imprese, in tutti i comparti produttivi.
10marzo 2015 di Antonio Stefanini, Sinistra Anticapitalista Livorno
A subirne le conseguenze non sono solo i lavoratori non specializzati, tipici dei comparti industriali, ma anche lavoratori e lavoratrici qualificate, specialmente nei settori dei servizi. A Livorno in questi ultimi mesi abbiamo avuto due casi esemplari: lo stabilimento dell’automotive TRW e oggi il call centre “People Care”: due aziende con più di 400 lavoratori e lavoratrici ciascuna. In entrambi i casi l’insediamento di queste aziende era stato favorito da finanziamenti pubblici e da agevolazioni tese a garantire nel tempo l’iniziale livello occupazionale ed un suo eventuale incremento.
Si sono quindi imposti ai lavoratori e alle lavoratrici, anche e soprattutto con la complicità delle organizzazioni sindacali maggioritarie, accordi sindacali sempre più al ribasso, sia a livello di diritti che di tempi di lavoro e di intensità di sfruttamento: tutto per evitare un eventuale abbandono delle attività produttive locali da parte dell’azienda. uesta scelta negli anni si è dimostrata non solo inutile, ma anche controproducente, soprattutto in assenza di legislazioni chiare ed incisive capaci di rendere inoffensive le minacce padronali di deinvestimento e di impedire queste pratiche “mordi e fuggi”. L’unico effetto che si è ottenuto è stato quello di indebolire e disarmare politicamente e culturalmente i lavoratori e le lavoratrici, relegandoli in un ruolo subalterno rispetto l’azienda, disabituandoli al conflitto.
E su un altro terreno che invece dobbiamo iniziare a ragionare.
Le politiche di aiuto all’insediamento di aziende private nel nostro territorio, qualora venissero applicate, devono essere accompagnate da una legislazione incisiva capace di impedire politiche di rapina delle risorse pubbliche e di sfruttamento ambientale del territorio, e soprattutto non devono incidere direttamente sulle condizioni di vita dei cittadini.
Riteniamo quindi che la proposta presente nella “Vertenza Livorno” e prefigurata dalla Regione di ridurre l’IRAP per le aziende che decidono di stabilirsi nel nostro territorio sia inaccettabile, in quanto l’IRAP serve nel nostro paese per finanziare il 30% delle spese sanitarie e una tassazione più leggera contribuirebbe così a ridurre ulteriormente il diritto alla salute e l’autonomia regionale.
E’ inaccettabile quindi che per favorire ipotetico incremento occupazionale nel nostro territorio si vada ad incidere su di un settore così fondamentale come la sanità e la sicurezza nei posti di lavoro, mettendo ancora una volta in contrapposizione il diritto al lavoro con quello fondamentale della salute. Ricordiamo inoltre che lo strumento della nazionalizzazione senza indennizzo, misura per altro prevista da quello che rimane della nostra Costituzione, può essere una minaccia efficace, ma soprattutto una misura praticabile se solo ci fosse la volontà d’applicarla, contro ogni speculazione, chiusura, delocalizzazione e per garantire il diritto al lavoro ed eventuali forme di autogestione o mutua solidarietà.
Si deve in ogni caso imporre preventivamente clausole di salvaguardia che vietino di fatto i licenziamenti collettivi di aziende o la chiusura di stabilimenti economicamente in attivo o appartenenti ad un gruppo che a livello nazionale o internazionale (nel caso delle multinazionali) non risultino in perdita o distribuisca utili ai propri azionisti. Per fare questo è necessario creare una struttura di valutazione indipendente che preveda la partecipazione diretta dei/lle lavoratori/trici e dalle istituzione per verificare e controllare se le situazioni di crisi di uno stabilimento siano reali o effetto di precise politiche aziendali di natura speculativa.
In ogni caso per imprese con più di 50 dipendenti deve essere impedito la chiusura immediata prima di avere trovato un acquirente per garantire la continuità aziendale e produttiva, imponendogli un tempo necessario di almeno sei mesi.
Se la ricerca si rivelasse infruttuosa, i proprietari che disinvestono e che hanno usufruito di agevolazioni pubbliche particolari, dovranno rimborsare tutti gli aiuti e i contributi pubblici e le agevolazioni fiscali ottenute negli ultimi 5 anni, una multa adeguata in rapporto al fatturato dello stabilimento degli ultimi anni oltre a una consistente buonuscita per ogni lavoratore/trice licenziato/a. Nulla di impossibile, tutto questo; misure minime di questa natura sanzionatoria, sono state imposte in Francia con una semplice legge (Florange) proprio per cercare di bloccare politiche di deinvestimento e chiusura di stabilimenti.
Sono stati troppi ed inutili gli incontri al MISE dove i lavoratori e le lavoratrici si sono dovuti scontrare anche con un governo che fa del “lasciar fare”, del non intromettersi nelle decisioni dei privati e del liberismo il suo segno caratterizzante.