Dopo il sisma dell’agosto scorso e durante le violente scosse di questi giorni ho ascoltato voci qualificate che indicano alcune cose da fare per non abbandonarsi alle frasi come:
“…è il destino, è la fatalità, non c’è più nulla è tutto perduto…’’.
6novembre 2016 di Ruggero Morelli
Tra queste spiccano le tesi dell’ing. Patrizia Angeli, dell’ing. Giovanni Azzone e dell’arch. Renzo Piano. I terremoti ci sono sempre stati e sempre ci saranno purtroppo, la terra trema e dobbiamo difenderci. Ecco alcune utili loro considerazioni:
‘E la natura non è né buona né cattiva. È semplicemente, e brutalmente, indifferente. Ma noi abbiamo una grande forza, una forza che la stessa natura ci ha dato in dono: l’intelligenza. La storia insegna: ci siamo sempre difesi, con moli, dighe, argini, case e con la medicina. Tocca a noi, al senso di responsabilità, investire la giusta energia nella messa in sicurezza delle nostre case. Abbiamo il dovere di rendere meno fragile la bellezza dell’Italia ingentilita e antropizzata dai nostri antenati’’.
Come disse Sandro Pertini, dopo il terremoto in Irpinia: il miglior modo di ricordare i morti è quello di pensare ai vivi. Aveva ragione.
“Non possiamo tollerare che crollino interi paesi e centinaia di persone restino sepolte sotto le macerie. Possediamo le tecniche e le conoscenze per proteggerci. Deve entrare in modo permanente nelle nostre coscienze ancora prima che nelle leggi, parlo del dovere di rendere antisismici gli edifici in cui viviamo; tantissime famiglie vivono incoscientemente in zone sismiche (lungo tutta la dorsale degli Appennini, la spina dorsale dell’Italia da Nord a Sud) in case insicure. C’è qualcosa che non torna.”
Che cosa fare? Rendiamo sicuro un patrimonio insicuro che sono le nostre case.
‘’Credo si debba guardare lontano. Penso a un progetto di lungo respiro, a un piano per le future generazioni che duri cinquant’anni. Bisogna intervenire con sgravi e incentivi quando passa in eredità la casa dei nonni e la nuova generazione è più interessata a ristrutturarla. E in quel momento bisogna pensare alla sicurezza dell’edificio.’’
Abbiamo case e chiese ben costruite dal 1300 al 1974, e edifici che sono stati mal costruiti dopo il 1974; lo abbiamo veduto nei disastri dei recenti sisma, ed in alcuni processi penali conseguenti a morti che non dovevano accadere. Come quelle eclatanti di bambini e studenti universitari. Per far partire questo grande cantiere si comincia applicando la capacità degli ingegneri, che è precisa, oggettiva, per l’appunto scientifica. Fare la diagnosi come un bravo medico. Ci sono apparecchiature sofisticatissime e strumentazioni d’avanguardia che produciamo in Italia, e d’altronde esportiamo negli altri continenti. Non siamo un Paese arretrato. Con la termografia possiamo determinare lo stato di salute di un muro senza neppure bucarlo.
‘’L’arte del conoscere e del sapere consente la massima efficacia senza accanirsi sugli abitanti, senza doverli allontanare durante il cantiere. Non si deve sradicare la gente da dove ha vissuto, è un atto crudele. C’è un legame indissolubile tra le pietre e le persone che le abitano.’’
Certo i tempi del cantiere leggero sono più lunghi, questa è un’operazione sottile che implica pazienza e continuità.
Una operazione del genere, anche se invero molto modesta al confronto, fu lanciata da Innocenzo Cipolletta, economista – rettore della università di Trento- per le facciata dei palazzi. Un piano nazionale per restaurare le molte facciate degradate a costi accettabilissimi per i proprietari dei singoli appartamenti. Con il risultato di dare fiato all’edilizia in crisi, di migliorare le sorti del turismo, e quindi un’operazione vantaggiosa per lo Stato.
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Non solo la popolazione deve restare negli edifici ma bisogna farla partecipare attivamente alle operazioni. Penso alla figura dell’architetto condotto, una sorta di medico che si preoccupa di curare non le persone malate ma gli edifici malandati e a rischio di crollo in caso di sisma. Essere architetto condotto insegna una cosa importantissima: l’arte di ascoltare e di trovare la soluzione. Per questo occorrono diagnostica e microchirugia e non la ruspa o il piccone. L’idea è quello di ricucire senza demolire, la leggerezza come dimensione tecnica e nel contempo umana.
Trent’anni fa a Otranto con Gianfranco Dioguardi abbiamo già lavorato a qualcosa di molto simile: il Laboratorio di quartiere, un progetto patrocinato dall’Unesco per rammendare il centro storico. Oggi la tecnica permette diagnosi molto più precise, ma la filosofia resta sempre la stessa: la casa è dove si trova il cuore, scriveva già duemila anni fa Plinio il Vecchio. Dovete credermi. Quello che voglio fare per rendere più sicure le case degli italiani non è teoria, mi hanno nominato senatore a vita perché sono un architetto, un costruttore di città. Sono pratico. Con il mio gruppo di lavoro al Senato, G124 che già si occupa delle periferie, proponiamo di fare dieci prototipi che coprano tutte le tipologie costruttive, vecchie e recenti, dieci abitazioni che abbiano la funzione di modello per i futuri interventi. Case in pietra, in laterizio e in calcestruzzo, costruite prima o dopo la guerra. Si può fare, credetemi, e bisogna farlo.
Il nostro è un Paese bellissimo ma fragile. La nostra bellezza è un valore profondo al quale troppi di noi si sono assuefatti e non la colgono più. In Italia la bellezza è così straordinariamente diffusa che è diventata assuefazione, la gente la vive con distrazione, senza accorgersene. Ma il mondo ci guarda come eredi scriteriati e ha ragione perché la fenomenale bellezza dell’Italia storica non appartiene solo a noi, è un patrimonio dell’umanità. Siamo eredi indegni perché non lo proteggiamo a dovere.