Pisa, 02 maggio 2016 da Comune di Pisa
Il Sindaco: “affronteremo la vertenza a viso aperto”. 68 posti di lavoro a rischio, senza contare l’indotto. Dopo mesi di contratto di solidarietà, è arrivata oggi la procedura di mobilità per i dipendenti della sede pisana della Carlo Colombo SpA, azienda che produce semilavorati in rame e che ha un altro stabilmento a Pizzighettone (140 dipendenti)
È iniziato il presidio dei lavoratori: «si tratta della prima azienda produttrice di rame in Italia -spiega Raimondo Feliciano dellaFiom Cgil sul posto insieme a Claudio Garzotto della Fim Cisl- ma la crisi, la concorrenza e la gestione l’hanno portata a questo punto. Con un piano di ristrutturazione del debito fallito e da rifare. La fabbrica di Ospedaletto può produrre 180mila tonnellate di rame ed è in posizione strategica data la vicinanza al porto di Livorno».
Presenti al presidio l’assessore al lavoro Giuseppe Forte e il Sindaco Marco Filippeschi per far sentire la presenza delle istituzioni in questo difficile momento. «Siamo di fronte a un fatto grave -ha dichiarato il Sindaco- come è grave che non ci siano rappresentanti dell’azienda a incontrare oggi i lavoratori. Affronteremo la vertenza a viso aperto. D’intesa con la Regione abbiamo convocato il tavolo di crisi presso il Ministero. L’obiettivo è salvaguardare i lavoratori e mantenere il sito produttivo pisano».
Una tempestiva riconvocazione del tavolo di crisi nazionale presso il ministero dello sviluppo economico nel pomeriggio è stata richiesta ufficialmente dalla Regione per l’azienda Carlo Colombo di Pisa in accordo con Comune e Provincia di Pisa. L’incontro servirà per verificare, alla presenza di tutte le parti coinvolte, il reale stato delle prospettive aziendali sullo stabilimento – che produce semilavorati in rame – a fronte della richiesta di mobilità recapitata oggi per 68 dipendenti.
Per l’azienda Carlo Colombo la Regione chiede la riconvocazione del Tavolo Crisi nazionale
Una tempestiva riconvocazione del tavolo di crisi nazionale presso il ministero dello sviluppo economico è stata richiesta dalla Regione per l’azienda Carlo Colombo di Pisa in accordo con Comune Provincia. L’incontro servirà per verificare, alla presenza di tutte le parti coinvolte, il reale stato delle prospettive aziendali sullo stabilimento – che produce semilavorati in rame – a fronte della richiesta di mobilità recapitata oggi per 68 dipendenti.
Sulle lettere arrivate oggi ai 68 dipendenti della filiale pisana della ‘Carlo Colombo spa’, che aprono di fatto per queste lavoratrici e lavoratori, la proceduta di mobilità, sono intervenute anche alcune forze politiche del Consiglio Comunale. La Ghezzani (Sel), ha chiesto l’immediata convocazione di un Consiglio Comunale aperto, il M5S presenterà una interrogazione parlamentare:
- “Dopo un anno e mezzo di contratti di solidarietà –così ha detto, in Consiglio Comunale, Simonetta Ghezzani (SEL),– cosa è stato fatto? La mancanza, inoltre, dell’Ente Provincia aggrava anche un percorso di lotta per non perdere questi posti di lavoro. Chiederò che si svolga il più presto possibile un Consiglio Comunale aperto a tutta la cittadinanza proprio presso la “Carlo Colombo”.
- “Oggi lo scenario – ha detto poi Ciccio Auletta, capogruppo di Una città in comune/Rifondazione comunista – è quello del licenziamento senza altra prospettiva. La situazione della Carlo Colombo mette ancora una volta spietatamente in luce l’inadeguatezza di un sistema di sviluppo che si traduce in ricchezza per pochi, spesso irresponsabili, mentre sfrutta senza controllo le risorse umane e ambientali. Chi paga sono sempre le lavoratrici, i lavoratori e le fasce più deboli: perdendo il lavoro ma anche vivendo e/o lavorando in ambienti insalubri. Per non parlare dei danni ambientali che colpiscono gli habitat e le specie. Se non qui, in altri Paesi del mondo”.
- ”Solidale come sempre –ha infine dichiarato, Giovanni Garzella, capogruppo in Consiglio Comunale di FI-PDL- con le lavoratrici e i lavoratori. Condivideremo ogni azione tesa alla salvaguardia dei posti di lavoro, diretti o dell’indotto, come abbiamo fatto con i bancarellai del Duomo!”.
- “Siamo vicini – ha infine aggiunto la capogruppo consiliare del M5S, Elisabetta Zuccaro – a tutte le lavoratrici e a tutti i lavoratoti della “Carlo Colombo”. Nei prossimo giorni presenteremo una interrogazione parlamentare. Questi lavoratori pagano le politiche del Governo Renzi. La crisi della Carlo Colombo smentisce i proclami di propaganda di questo governo e mostra così tutta la verità vera sulla crisi economica e occupazionale del nostro paese”.
Licenziamenti alla Carlo Colombo, sostegno a chi lavora e a chi subisce un modello di sviluppo dannoso e fallimentare, il comunicato di “Una città in Comune/Rifondazione Comunista”:
Esprimiamo sostegno e solidarietà ai lavoratori e alle lavoratrici della Carlo Colombo. Da tempo portano avanti una vertenza difficile per la difesa del proprio posto di lavoro, in un’azienda che da diversi anni si trascina in una crisi senza uscita. E che ha già chiuso diversi altri siti produttivi in altre parti d’Italia.
Nel nostro territorio lavoratrici e lavoratori hanno prima dovuto accettare i contratti di solidarietà, poi la cassa integrazione, facendo rinunce su rinunce per avere una speranza. Contemporaneamente, i debiti milionari della società sono lievitati a dismisura, senza che sia mai stato presentato un piano industriale credibile. Oggi lo scenario è quello del licenziamento senza altra prospettiva.
La situazione della Carlo Colombo mette ancora una volta spietatamente in luce l’inadeguatezza di un sistema di sviluppo che si traduce in ricchezza per pochi, spesso irresponsabili, mentre sfrutta senza controllo le risorse umane e ambientali. Chi paga sono sempre le lavoratrici, i lavoratori e le fasce più deboli: perdendo il lavoro ma anche vivendo e/o lavorando in ambienti insalubri. Per non parlare dei danni ambientali che colpiscono gli habitat e le specie. Se non qui, in altri Paesi del mondo.
Quello che avviene ora qui accade perché in questo Paese non c’è una politica industriale. Perché le multinazionali nei nostri territori possono fare le scelte che vogliono, senza mai essere costrette a rendere conto di nulla. In nome di quanto prevede la Costituzione all’articolo 41, devono invece essere ricondotte alle proprie responsabilità: la politica deve quindi intervenire, a partire dal livello regionale, contro qualsiasi ipotesi di dismissione del sito produttivo per coprire i debiti e soprattutto contro qualsiasi tipo di delocalizzazione. Non solo, il sito e le apparecchiature, le macchine e i materiali di Ospedaletto devono essere usati a garanzia delle lavoratrici e dei lavoratori.
Lavoratrici e lavoratori sfruttati qui come in Congo, per l’appunto un altro Paese del mondo: ricordiamo infatti che alle spalle della Carlo Colombo c’è la multinazionale anglo-svizzera Glencore, già accusata più volte, da ONG e inchieste giornalistiche, di violazione dei diritti umani e all’ambiente nel Paese africano per condizioni di lavoro al limite della sopravvivenza, discriminazione dei lavoratori locali, straordinari non pagati, licenziamenti senza preavviso, sfruttamento del lavoro minorile, inquinamento della falde acquifere ed evasione fiscale.
La finanza quando si impossessa delle fabbriche le distrugge. Il caso emblematico della Carlo Colombo. Da Cobas Pisa
Vergogna, vergogna, il grido degli operai di fonderia che si è levato dal presidio permanente ai cancelli della Carlo Colombo, una azienda alle porte di Pisa ,nella zona industriale di Ospedaletto.
La zona industriale dove ritrovi le aziende partecipate del Comune, piccole officine e vie di capannoni dismessi oltre a due aziende farmaceutiche e una metallurgica, alcune migliaia di lavoratori\trici divisi per contratto, datore di lavoro, con orari diversi e una organizzazione del lavoro che rende difficile l’incontro e il confronto. Pensata quasi 40 anni fa, oggi l’area industriale di Pisa est alterna zone produttive ad aree abbandonate e dismesse o a capannoni che non saranno mai ultimati. Da almeno un anno si respirava aria di crisi alla Carlo Colombo, già un anno fa uno sciopero mise in evidenza le troppe ombre attorno al futuro produttivo della fabbrica.
Da anni i sindacati presenti in azienda (Fiom, Fim e Cisal) si sono limitati alla vertenza istituzionale, alla firma di innumerevoli ammortizzatori sociali fino a quando, pochi giorni fa, l’azienda ha dichiarato la mobilità per l’intera forza lavoro. Ma cosa si cela dietro ai motivi tecnici, organizzativi e produttivi, di cui parla Raimondo Feliciano della Cgil, che hanno portato al licenziamento di 68 operai nella fonderia Carlo Colombo?
Intanto è bene utilizzare le parole giuste, la riduzione di personale riguarda la totalità del personale (incluso il direttore) che opera nel sito di Ospedaletto, in sintesi la fabbrica (di lavorati in rame) chiude i battenti e licenzia, non per delocalizzare la produzione ma semplicemente per la crisi del settore. Una azienda, la Carlo Colombo, nata nel 1947 che nel 2009 riunisce sotto il nome di Carlo Colombo spa le sue tre fabbriche ove fino a ieri lavoravano in 250.
La proprietà della Carlo Colombo è detenuta da banche e Istituti Finanziari per i quali il lavoro è solo una variabile dipendente dai loro profitti, quindi giudicando improduttiva l’attività , con gli ultimi anni trascorsi nella assoluta incertezza tra contratti di solidarietà e cassa integrazione, hanno deciso di chiudere la produzione.
Ai cancelli gli operai sono smarriti, ci parlano di un padrone che ormai ha trasferito all’estero la sua residenza e tra i proprietari dell’azienda hanno prevalso le ragioni della finanza che non sente ragioni e vuole chiudere ogni attività produttiva limitandosi allo stabilimento di Pizzighettone. Ma la domanda è solo una: l’industria del rame è veramente in crisi?
I dati economici sembrerebbero dire il contrario, infatti solo in Europa ci sono 500 compagine con un fatturato che supera 45 miliardi di euro e impiega piu’ di 50 mila lavoratori\trici. La domanda di rame, contrariamente a quanto leggiamo è in crescita, le statistiche parlano di un raddoppio negli ultimi 25 anni, numerose aziende si sono indirizzate verso lo sfruttamento della totale riciclabilità del rame (che mantiene le sue caratteristiche originali). Nel corso degli ultimi 10 anni è stato stimato che il 41% della domanda di rame nella UE-27 sia stata soddisfatta dal riciclo interno industriale e dai prodotti giunti alla fine della loro vita utile (Glöser, Simon; Soulier, Marcel; Tercero Espinoza, Luis A. (2013)). I prodotti di rame hanno un elevato valore aggiunto (dalle utilies dell’energia alle automative, dall’edilizia alla elettronica). Se la chiusura della azienda viene giustificata con la crisi del rame, è doveroso non crederci, piuttosto viene il dubbio che le multinazionali occidentali vogliano investire in Cina. Pur in uno scenario di generale debolezza, solo nel 2013, la domanda mondiale di rame ha toccato il record di 25,5 milioni di tonnellate.
Al presidio di oggi era presente anche il sindaco di Pisa , Marco Filippeschi (pd) insieme a esponenti della Regione. L’impegno delle istituzioni, di aprire un tavolo istituzionale in Regione, avviene con mesi di ritardo perché le lettere di licenziamento arrivano dopo mesi di lenta agonia, un anno trascorso in attesa di risposte e di un piano di rilancio dell’azienda rilevatosi inesistente. La fonderia di Ospedaletto ha impianti moderni che potrebbero essere utilizzati per anni, di certo si guarda al mercato asiatico dal quale i semilavorati in rame arriveranno a costi inferiori pagando la manodopera locale meno di 3 euro all’ora.
Il presidio va avanti ad oltranza e nel frattempo è arrivata anche la solidarietà dei cobas che in comunicato accusano il Governo di vaneggiare quando parla di ripresa economica dimenticando le decine di fabbriche \aziende che stanno chiudendo anche per l’assenza di investimenti tecnologici e per la delocalizzazione di interi rami produttivi. I tavoli istituzionali , sempre per i Cobas, non potranno limitarsi alla riduzione del danno e qualche elemosina da erogare a chi perde il posto di lavoro. Quanti oggi speculano in borsa e in finanza sulla pelle dei lavoratori debbono essere perseguiti con forza destinando i proventi delle loro speculazione agli operai che hanno messo a casa. Oggi piu’ che mai il ruolo del sindacato non puo’ essere quello di ridurre il danno e di invocare ammortizzatori sociali che il Governo ha fortemente compresso, le stesse istituzioni locali devono scegliere la strada di far pagare alle aziende che dismettono la produzione un costo salato in termini di tassazione. Troppe volte-concludono i Cobas-le aziende hanno beneficiato di sgravi e di aiuti delle istituzioni locali senza dare nulla in cambio e alla occorrenza chiudere la produzione o scegliere di delocalizzarla dove il costo del lavoro è ai minimi termini