15dicembre 2015 da Martina Pignatti, Unponteper… Pisa
Gli attentati terroristici delle ultime settimane, da Beirut alla Nigeria fino all’Europa, portano drammaticamente l’attenzione del dibattito pubblico sul tema del terrorismo fondamentalista. Ma poco si discute della fallimentare risposta militare messa in campo dalla comunità internazionale: gli stessi bombardamenti che hanno incendiato i fanatismi, un export di armamenti in crescita verso la regione mediorientale, giochi di potere sulla pelle dei civili.
Alcuni politici nostrani ne hanno subito approfittato per fomentare l’odio contro il diverso, lo scontro tra religioni, per proporre la chiusura delle frontiere e la limitazione delle libertà personali. Anche i principali mezzi d’informazione hanno seguito questa impostazione, giocando sulle paure e identificando lo straniero, in particolare islamico, come colui che vuole soppiantare la civiltà occidentale, le sue tradizioni, la sua sicurezza e la sua libertà.
Ma le comunità islamiche d’Italia ci dicono che il terrorismo non ha religione, che il fanatismo di Daesh (IS) non è Islam, allo stesso modo in cui i militanti del Ku Klux Klan non erano Cristiani. Le statistiche ci gridano che le prime vittime del terrorismo fondamentalista sono i popoli arabi, e quei profughi a cui stiamo chiudendo le porte della salvezza, condannandoli a morire di stenti o annegare nel Mediterraneo.
Per chi propone soluzioni facili e populiste la guerra, che è la causa del problema, diventa l’unica soluzione. E la sospensione delle libertà costituzionali la sua appendice. Invece i problemi alla base di questa situazione sono ben più complessi e non hanno soluzione militare. Hanno a che fare con interessi geopolitici contrapposti delle potenze mondiali in Siria, con governi settari o dittatoriali che godono di sostegno internazionale mentre massacrano la propria gente, con interessi finanziari enormi che riguardano il commercio di petrolio, di armi, di opere d’arte e reperti archeologici. Fiumi di denaro, che scorrono sulla pelle dei popoli, protagonisti di guerre infinite e vittime delle loro conseguenze.
Leggere tale complessità è difficile per chi vive immerso nel nostro contesto sociale compromesso dai tagli al welfare, dall’esclusione dai diritti fondamentali, dall’aumentare delle disuguaglianze sociali, dalle emergenze casa e lavoro. Allora la diffidenza verso il diverso cresce e le guerre tra poveri rischiano di creare un contesto sociale esplosivo.
E’ pertanto fondamentale, oggi come non mai, che arrivi una risposta da parte di tutti coloro che non ci stanno, che chiedono soluzioni politiche e diplomatiche al problema del terrorismo e del militarismo. C’è bisogno di informazione, di sensibilizzazione, di mobilitazione. C’è bisogno che ognuno, insieme e nei propri luoghi, proponga iniziative di approfondimento, che ripartano dall’ascolto di chi ha vissuto la guerra e conosce il terrore.
Per questo convochiamo un assemblea pubblica che partirà dall’ascolto di alcune testimonianze di giovani attivisti iracheni, molti dei quali cacciati dalle loro città dopo l’arrivo di Daesh (IS), che si stanno impegnando nel Nord dell’Iraq per costruire future possibilità di convivenza. Condivideremo poi le nostre risposte alla sensazione di insicurezza e di ostilità al diverso che si percepiscono anche nella nostra città, e le nostre proposte per affermare la sicurezza umana, promuovere accoglienza, costruire la pace.
Mercoledì 16 dicembre 2015
- Ore 21:00 – Sala cortile interno, ex Opera Cardinal Maffi, Via Garibaldi 33 Pisa Assemblea pubblica promossa da: ARCI Pisa, ARCI Toscana, Il Nodo, Officina UDS Pisa, Progetto Rebeldìa, Rete degli Studenti Medi Pisa, Sinistra Per…, Un ponte per…
- Ore 17:00 – Sede Un ponte per…, ex Opera Cardinal Maffi, Via Garibaldi 33 Pisa. HAKAWATI/Contastorie di Un ponte per…
Prima dell’assemblea pubblica, un incontro informale con la delegazione irachena per discutere del nostro impegno per la pace, e di ciò che possiamo imparare gli uni dagli altri,davanti a un tazze di thè. Interverranno giovani iracheni di diverse etnie e confessioni, impegnati in un progetto di ARCI-Toscana e Un ponte per… sul sostegno alle minoranze nel Nord dell’Iraq:
- Salar Ahmed, operatore umanitario di Al-Mesalla (ONG curdo irachena)
- Athraa Jawad Habeeb, educatrice, centro giovanile di Erbil
- Fuad Abdullah Saeed, educatore/coordinatore, centro giovanile di Erbil
- Rana Abdulmajid Hussein, educatrice, centro giovanile di Erbil
- Risan Edo Naamo, educatore, centro giovanile di Dohuk
- Bassam Salim Elias, educatore/coordinatore, centro giovanile di Dohuk
- Hanen Ala’ Ya’qop, volontaria, centro giovanile di Dohuk
- ARCI Pisa, ARCI Toscana, Il Nodo, Officina UDS Pisa, Progetto Rebeldìa, Rete degli Studenti Medi Pisa, Sinistra Per…, Un ponte per…