13dicembre 2015 di Paola Ceccotti
Si è conclusa con la conferenza del 17 novembre u.s. presso la Biblioteca Labronica la celebrazione della Grande Guerra curata dalla Associazione Borsi. L’iniziativa è stata incentrata sulla figura di G. Borsi giovane concittadino, nato a Livorno nel 1888 e deceduto in guerra a Zagora, in Slovenia, il 10 novembre 1915 quindi a soli 27 anni.
La mostra allestita nei locali della biblioteca ha esposto una nutrita raccolta di cimeli, documenti e fotografie della guerra tale da fornire una presentazione del tempo e del clima culturale di quel momento storico, soprattutto nella sua rappresentazione medio-borghese.
La Conferenza introdotta da Carlo Adorni e da Paolo Pasquali, con la partecipazione della presidente Nicoletta Borgioli ha illustrato le vicissitudini che portarono Giosuè Borsi, giovane laureato, studioso e letterato di grandi speranze, ad arruolarsi volontario nel desiderio di contribuire alla realizzazione degli ideali nazionali.
Borsi fa parte di coloro che si presentarono come volontari, per lo più appartenenti alle classi sociali medio-alte, giovani con studi di tipo superiore, i quali anche se non laureati, con l’accesso a corsi brevi – nel nostro solo due mesi – diventarono sottufficiali e inviati al fronte con la responsabilità di guidare la truppa alla vittoria, con il mito della morte eroica e secondo un’etica del sacrificio.
La guerra venne sentita da quella categoria sociale come liberazione dalle convenzioni borghesi, sotto la spinta di un dilagante nazionalismo.
Nel 1909 Marinetti aveva pubblicato su “Le Figaro” il “Manifesto del Futurismo” in cui si invocava la guerra come igiene del mondo, una forza irrazionale che avrebbe spazzato via la normale e banale esistenza attraverso una fuga dal moderno, verso una esperienza di rigenerazione quasi mistica. I Futuristi furono interventisti, e in Italia la fine della neutralità e l’entrata in guerra venne auspicata per la liberazione delle terre “irredente” di Trento e Trieste.
Fra gli arruolati si verificò una sostanziale differenziazione tra i volontari e i coscritti, quest’ultimi per i quali la guerra aveva voluto dire lasciare la casa e il sostentamento della famiglia, che non potevano comprendere le ragioni dei primi. La guerra si rivelò un gran mattatoio e una disillusione proprio per chi l’aveva chiesta fortemente, non luogo di realizzazione di spinte eroiche ma applicazione della tecnologia alla industria della morte, in cui il soldato assumeva il carattere di un anonimo e invisibile ingranaggio.