La partecipazione italiana al conflitto in Afghanistan rappresenta una delle questioni fondamentali che, il movimento per la pace deve affrontare e tentare di risolvere
28novembre 2015 di prof. Giacomo Di Lillo, GIGA (Gruppo Insegnanti Geografia Autorganizzati)
Per comprendere perché i nostri militari siano finiti a combattere una vera e propria guerra in un lontano paese asiatico, è necessario ricostruire alcuni avvenimenti dell’inizio di questo secolo
La guerra in Afghanistan, che è ancora in corso, è iniziata il 7 ottobre 2001, un mese dopo i tragici avvenimenti dell’ 11 settembre. Il governo statunitense, guidato da Bush Junior, effettuò prima pesanti bombardamenti aerei e successivamente avviò l’invasione militare del paese. Secondo le motivazioni ufficiali, fornite dagli americani, il conflitto era inevitabile.
Esso si prefiggeva la distruzione delle basi terroristiche di Al Qaeda presenti in Afghanistan, la cattura del presunto organizzatore degli attacchi alle Torri Gemelle, Bin Laden, ed infine l’abbattimento del regime totalitario dei talebani.
La propaganda del governo di Washington, ovviamente, evitò con molta cura di menzionare i rilevanti interessi che gli USA potevano avere a conquistare l’Afghanistan. Quest’ultimo, ad esempio, ha una posizione strategica di notevole importanza, dato che confina con la Cina, la maggiore minaccia potenziale all’egemonia militare ed economica globale degli Stati Uniti. L’Afghanistan confina anche con l’Iran che era allora considerato uno “stato canaglia”, nemico degli USA e dell’Occidente. Va ricordato, inoltre, che la posizione dell’Afghanistan poteva risultare vantaggiosa relativamente al commercio internazionale delle fonti energetiche. Il paese, infatti, avrebbe potuto svolgere la funzione di corridoio per il trasporto del gas naturale, dai ricchi giacimenti del Mar Caspio ai porti dell’Oceano Indiano. Un altro motivo per cui gli Stati Uniti potevano ottenere un grande vantaggio nell’estendere il controllo sull’Afghanistan era la ricchezza del suo sottosuolo. In esso sono presenti giacimenti di ferro, rame, litio, cobalto, carbone ed anche oro e smeraldi.
Come noto, la campagna militare degli Stati Uniti, iniziata nell’ottobre del 2001, si concluse velocemente e determinò la disfatta del regime talebano. Al posto di quest’ultimo, venne insediato un governo filoccidentale, guidato da Hamid Karzai, un ex-consulente della multinazionale statunitense Unocal, nonché ex-collaboratore della CIA. Secondo il parere degli analisti politici di Washington, nel paese asiatico erano ormai state create tutte le condizioni perché esso si avviasse verso un periodo di pacificazione. Tali previsioni, tuttavia, si sono rivelate errate.
Il paese è infatti piombato in una guerra civile, dovuta al fatto che i talebani sono gradualmente riusciti a riorganizzarsi ed hanno avviato sistematiche azioni militari contro il governo alleato degli invasori, al fine di riconquistare il potere.
I militari italiani sono giunti in Afghanistan nel 2003. Inizialmente le nostre truppe, composte da circa 700 effettivi, partecipavano ad una missione internazionale, l’ISAF, International Security Assistance Force. Quest’ultima, avviata alla fine del 2001, aveva ottenuto il mandato dell’ONU e si prefiggeva il compito di favorire la ricostruzione politica ed economica del paese. La missione ISAF ha successivamente cambiato le sue finalità. Ciò è avvenuto dal 2003, quando il comando della missione è stato sottratto all’ONU ed affidato ai generali della Nato. Da allora l’ISAF si è data la priorità di sostenere il governo di Karzai e di combattere le milizie talebane.
Essendo inquadrate all’interno della coalizione della Nato, anche le truppe italiane hanno quindi cominciato a partecipare attivamente alla guerra in Afghanistan. A partire dal 2006, in particolare, reparti d’élite delle nostre forze armate, appartenenti alla Task Force 45, sono stati segretamente impiegati per individuare ed annientare gruppi di combattenti talebani. Negli anni successivi si è verificata un’ulteriore escalation dell’impegno militare italiano, tanto che nel 2012 velivoli Amx della nostra aeronautica hanno effettuato missioni di bombardamento.
Va sottolineato che il fatto che gli italiani non stavano più partecipando ad un’operazione internazionale di “peacekeeing”, ma erano a tutti gli effetti impegnati in una vera e propria guerra, non è sembrato turbare molto i membri del nostro parlamento. Ad eccezione di limitati casi, essi hanno accettato disinvoltamente il totale disconoscimento del fondamentale articolo 11 della nostra Costituzione, quello che afferma che l’Italia ripudia la guerra. Pochissimi parlamentari, inoltre, hanno votato contro il finanziamento della missione militare.
Alcuni dati ci aiutano a comprendere i costi umani ed economici della guerra: Sessa avrebbe prodotto più di 21000 vittime civili afghane (un numero notevolmente più elevato, invece, per i portavoce di alcuni partiti politici afghani), 3500 caduti tra i militari della coalizione internazionale e 53 morti tra i soldati italiani. Dal punto di vista economico, va segnalato che i contribuenti italiani avrebbero finora speso, in totale, 5 miliardi di euro per sostenere la missione, il cui costo giornaliero è stato calcolato intorno ad un milione di euro.
Si può affermare che la missione ISAF, conclusasi nel dicembre 2014, si è rivelata un sostanziale fallimento. Gli occidentali non sono riusciti ad introdurre la democrazia, dato che i governi di Kabul, che non godono del sostegno della popolazione, hanno finora evidenziato un elevato livello di corruzione e stretti legami con la criminalità organizzata. Il popolo afghano, inoltre, continua a condurre un’esistenza estremamente povera: il reddito medio giornaliero per abitante non raggiunge i 2 dollari. Le attività produttive del paese, infine, non si sono adeguatamente sviluppate, nonostante le citate risorse.
A peggiorare ulteriormente la situazione dell’Afghanistan concorre anche il fatto che esso è al centro di oscuri interessi economici. Il paese è infatti il principale coltivatore mondiale di oppio, destinato alla produzione di eroina.
E’ stato addirittura ipotizzato che i servizi segreti statunitensi, società di “contractors” (mercenari) e singoli militari della coalizione internazionale siano invischiati nel commercio dell’oppio. A riguardo di ciò sono state avviate una serie di indagini in vari paesi, che sono state ostacolate e quelle condotte dalle varie procure militari, sono state spesso velocemente archiviate.
Nonostante l’illegalità della guerra, i suoi costi ed i bilanci negativi, in Italia si parla solo sporadicamente della questione afghana. Di solito accade quando i nostri militari cadono in combattimento. Per alcuni giorni viene narrato il dolore dei familiari dei soldati uccisi e qualche giornalista ci pone a conoscenza delle difficoltà che la missione sta incontrando. Poi, però, vengono puntualmente diffuse le ragioni ufficiali dei governi e delle gerarchie militari. Le nostre truppe italiane non possono venir via dall’inferno afghano, perché stanno servendo una nobile causa e perché ritirandosi l’Italia non rispetterebbe gli impegni che ha sottoscritto e finirebbe col perdere la propria credibilità in campo internazionale.
Negli ultimi anni persino la voce del nostro movimento pacifista si è fatta sentire poco. E’ quindi necessario che vengano messe in campo tutta una serie di iniziative, sia di carattere nazionale, che locale, per fare controinformazione e per affrontare in maniera incisiva la questione. Bisogna inoltre ribadire che l’obiettivo irrinunciabile di riportare a casa i nostri militari, si potrà raggiungere solo a patto di realizzare una forte mobilitazione unitaria del variegato arcipelago pacifista.