29marzo 2015 da Gino Fantozzi
L’iniziativa promossa dall’Associazione industriali di Livorno sulla innovazione e la ricerca si è concentrata sulla presentazione del recente volume “La nuova partita dell’innovazione” ( ed. il Mulino di Riccardo Varaldo). Un incontro importante per l’interesse che la questione degli investimenti in R&S e in formazione ha soprattutto in un’area come quella di Livorno dove il deficit strutturale nella crescita economica e produttiva è particolarmente critico.
E’ nota a tutti l’esperienza del Professor Varaldo sui temi della ricerca tecnologica e soprattutto sulle questioni della diffusione dell’innovazione nel tessuto imprenditoriale, ma anche e soprattutto l’accento da lui posto a tale fattore come fattore fondamentale per lo sviluppo economico e produttivo. Del resto il tema in sé è ampiamente dibattuto conosciuto e condiviso. Basti pensare al famoso rapporto Delors del 1992 che individuava proprio nella scarsa propensione dei paesi europei ad investire in ricerca e in formazione il gap principale del ritardato sviluppo dell’economia europea rispetto ad altre aree del mondo come il nord America o l’estremo oriente. Da allora ben poco però è stato fatto, soprattutto dai Paesi dell’area mediterranea e dall’Italia in particolare. Tutto questo tra l’altro quando l’evoluzione tecnica e scientifica ha fatto passi di dimensioni impensabili.
E ancora una volta il libro di Varaldo mette in evidenza questi ritardi sottolineando un aspetto spesso discusso ma mai sottolineato a sufficienza, quello che se in Italia rispetto al Pil si investe una bassa percentuale di risorse, ancor meno queste risorse provengono dal mondo delle imprese. E’ infatti soprattutto lo Stato che si occupa di investire anche se in termini insufficienti ai bisogni. E qui giustamente è stato posto il problema di un deficit culturale del capitalismo italiano che pesa non poco sull’efficacia delle politiche per l’innovazione.
Rispetto ad altri paesi anche europei, in Italia per una impresa è molto difficile investire non solo nella ricerca ma anche nella stessa formazione, quando per esempio in Germania è quasi nella normalità trovare nei bilanci aziendali, tra le spese di investimento, la formazione o la stessa ricerca tecnologica. Per quest’ultima è stato messo in evidenza che la frammentazione produttiva e l’alto numero di piccole imprese rendono più complicato un percorso di investimento, e non è un caso che, in regioni come la Toscana per esempio, siano “antiche” e spesso anche pionieristiche le esperienze di sostegno alla creazione di centri di servizi (anche settoriali e distrettuali) e di promozione del rapporto tra università e mondo produttivo. Esperienze spesso fallite, sbagliate nell’impostazione gestionale, ma che comunque hanno sempre dato il segno di un tentativo importante di tradurre un bisogno (quello del sostegno alle piccole imprese nell’affrontare la ricerca) da parte del pubblico. Quello che comunque non cambia è proprio la scarsa propensione all’investimento in R&S da parte delle imprese con motivazioni che magari nel tempo sono anche cambiate ma che alla fine non mutano il risultato. E a questo proposito si è parlato spesso di una carenza di imprenditorialità, di capacità manageriale di estrema sudditanza (la ove esiste) alla impresa committente e di fatto una scarsa propensione alla diversificazione produttiva e quindi alla necessità di affrancarsi il più possibile da un rapporto di sub fornitura. Ed è indubbio che quando si parla di “carenza del capitalismo italiano” si richiamano nel concreto questi concetti.
Il contributo dei corelatori al dibattito è stato interessante e ha cercato anche di avviare la discussione o quanto meno l’attenzione su aspetti concreti della città e del territorio di Livorno. E su questo aspetto il richiamo al territorio come entità più o meno astratta avrebbe meritato un approfondimento davvero serio e puntuale. Parlare di valorizzazione delle risorse endogene è qualcosa di vecchio e anche sbagliato, anche se il livello dei relatori di per sé esclude una simile interpretazione. E’ stata sicuramente la mancanza di tempo e la necessaria sinteticità di un tema non all’ordine del giorno, anche se pertinente e legato a quello della R&S e della formazione come fattori di crescita economica e produttiva.
Sarebbe invece interessante trovare una sede dove coniugare la tematica dell’innovazione (con il contributo di idee provenienti dal lavoro del Prof. Varaldo) a quella dello sviluppo locale, e sviscerare così tutte le tematiche sociali, economiche e, perché no, anche politiche e istituzionali che contribuiscono a definire un territorio e che permettano l’individuazione degli stakeholders e delle forze da coinvolgere.
L’iniziativa dell’Associazione industriali è quindi stata una iniziativa importante che ha riconosciuto al Professor Varaldo il merito scientifico che gli spetta ma che ha anche avviato un interessante dibattito che deve essere approfondito. Un occasione che non dovrà essere persa perché parlare di R&S e formazione in una realtà come Livorno deve trovare risposte assennate e serie come purtroppo da tanto tempo non si persegue più.