Per quanto riguarda la cronaca di questi ultimi giorni e dei fatti sulla ventilata chiusura o conversione dell’Eni di Livorno emerge il silenzio di una qualsiasi parte ambientalista
13novembre 2014 da Andrea Petrocchi, Sel Livorno
Certa è la spinosità dell’argomento con centinaia di posti di lavoro in ballo.
La mancanza di una voce favorevole dell’ambiente è comunque una mancanza importante, perché la sua presenza ortodossa avrebbe dovuto delimitare uno dei due steccati dell’alveo democratico all’interno dei quali dovrebbe esaurirsi questa questione, e la sua assenza ne distorce gli esiti. E certamente per il nostro ambiente questo dibattito ha una rilevanza nazionale, perchè quella raffineria figura nell’elenco dei 662 stabilimenti più inquinanti d’Europa stilato dall’Agenzia Europea per l’Ambiente (EEA) e la sua area è interna a quella ascritta sul nostro territorio fra i SIN nazionali per inquinamento da piombo, mercurio, rame, zinco, cromo e Ipa, sostanze queste ultime fra cui è compreso il benzo(a)pirene, inquinante cancerogeno di categoria 1.
La tutela dell’ambiente è comunque uno dei due paletti, l’altro, che è stato l’unico che abbiamo ascoltato in questi giorni, è la tutela dei posti di lavoro.
E’ fondamentale a questo punto segnalare che nessuno in questo ambito sta parlando di lasciare nell’oblio i destini di queste centinaia di famiglie di lavoratori, la presente uscita è funzionale esclusivamente a indicare un’altra direzione, una via ambientalista e solidale al problema, che consenta di chiudere l’esperienza della nostra città con quello stabilimento, e che vada oltre, perché questa vicenda ci insegna che la raffinazione lontana dagli impianti di estrazione non ha più futuro sia in termini logistici che di picco produttivo, e di ciò è bene tenere di conto.
Ciò detto, e libero il fatto che possano esserci più posizioni ambientaliste, e che queste possano tenere conto o meno delle famiglie di quei lavoratori, la mia si esprime in questa domanda:
“E’ per caso percorribile una via che porti alla chiusura dell’impianto e al reimpiego dei suoi occupati prima nello smantellamento, poi nella bonifica e infine nella conversione di quelle aree, è possibile anche per noi un “modello Bilbao”, dove i fondi strutturali europei, ai quali, è sempre bene ricordarlo, gli italiani contribuiscono per un buon 15%, non solo hanno bonificato e riqualificato l’ambiente ma hanno creato più occupazione?”
Facendo poi esplicito richiamo ai modi altruisti e compassionevoli della natura umana e agli ideali solidaristici tipici della ideologia a cui appartengo mi spingo a una seconda domanda:
“Al netto di quanto previsto dalle norme mutualistiche che le nostre istituzioni riservono a quei lavoratori, quanti di noi contribuirebbero a un tributo locale di scopo strutturato su una imposta progressiva in base al reddito, a una socilizzazione quindi del costo di quelli stipendi e di quei salari, per acquisire il dividendo sulla salute nostra e delle nostre generazioni future?”
Mediamente a quanto ammonterebbe pro capite spalmare il saldo di quelle differenze sui 180 mila residenti dei comuni di Livorno e Collesalvetti? Sarebbe poi percorribile la strada della cessione della raffineria a costo zero? la proprietà, che è privata e ragiona per profitto, si sarebbe defilata già alcuni anni fa.
Quali sarebbero i ricavi ottenibili dallo smantellamento, si pensi all’acciaio con cui è stata realizzata, e quali sarebbero i costi per una sua bonifica. Quale valore raggiungerebbero quelle aree una volta bonificate, e cosa potremmo realizzarci per avere un qualcosa di sostenibile in grado di ripagare stabilmente in termini di impiego lo sforzo collettivo iniziale?
Ne ho parlato col mio partito, che si associa a me nel porre queste domande. E’ possibile avere un riscontro oggettivo numeri alla mano?