12giugno 2018 da Gisella Evangelisti
Andiamo a conoscere Riace, “villaggio globale”, come si legge su una iscrizione nel centro, in occasione di un incontro della rete RECOSOL, che unisce 300 comuni italiani impegnati nell’accoglienza dei migranti. Nell’intenso fine settimana del 25 26 maggio sono arrivate in Calabria più di settanta persone tra sindaci e operatori sociali, per scambiare esperienze e appoggiare Lucano. Sí, il famoso Domenico Lucano e il suo “villaggio globale” che sono adesso in piena tormenta, lasciati da due anni senza fondi e con guai giudiziari a babordo. Torniamo un attimo indietro per ricostruire questa peculiare vicenda.
Tutto cominciò con un veliero
Riace é uno dei tanti borghi adagiati su una collina, tra campi di grano e ulivi, che sono parte integrante della storia e del paesaggio italiano. Negli anni ’50 aveva 4000 abitanti, poi fu quasi abbandonato e le scuole stavano per chiudere. Oggi ci vivono 1500 riacesi e 500 stranieri, di 26 diverse nazionalità. Il cuore del paese é un grande pino, che nel dopoguerra ha visto quasi tutti i giovani partire verso le Americhe o per Torino tra lacrime e fagotti. Le donne anziane, ieri come oggi, continuano a percorrere le sue stradine con un rosario in mano, pensando ai figli lontani. Ma poi un giorno, come si racconta nelle favole, un veliero sbarcò sulla spiaggia di Riace, e Cambiò la sua storia. Era l’estate del ’98, e dal veliero guidato avventurosamente da un capitano turco scesero stremati 300 curdi, appartenenti a un popolo che tante battaglie lungo i secoli avevano lasciato senza patria. Furono accolti con entusiasmo da un gruppetto di giovani di Riace che alle elezioni del ’95 non erano stati votati neanche dai loro genitori, perché considerati “teste calde”, troppo idealisti. Puntavano al recupero delle case abbandonate e alla costruzione di una vera comunità, dove tutti fossero felici, sia i locali che gli stranieri, scambiando i loro saperi. Figuriamoci! Chiamarono questa utopia “la Città Futura”.
Tra loro c’era Domenico, (Mimmo) Lucano, tecnico di laboratorio in una scuola, che si dedicò anima e corpo all’impresa. All’inizio, col solo appoggio di un vescovo, i giovani trovarono un palazzo antico come sede per avviare questa città multietnica. Poi, poco a poco, i riacesi d’oltremare si convinsero a mettere a disposizione le loro case. Anche gli abitanti del paese si scossero dalla loro rassegnazione e collaborarono a ristrutturarle. Nel 2001 nacque in Italia il Programma Nazionale Asilo, che divenne SPRAR con la legge 189 e il progetto di Riace cominciò a contare col finanziamento di 35 euro al giorno per persona accolta. Molti migranti arrivarono e poi proseguirono per altre mete. Col tempo poterono essere contrattati come operatori nelle varie attivitá del progetto 60 giovani locali, che ebbero così uno sbocco professionale. Nel 2004 Lucano fu eletto sindaco. Oggi sta per lasciare il suo mandato in un paese trasformato.
Con questa faccia da straniero
Conosciamo in piazza uno di quei 300 curdi sbarcati fortunosamente a Riace venti anni fa. Baran ci racconta che credettero affogare, durante una tormenta, con l’acqua che gli arrivava fino al ginocchio, e continuava a salire. Parla un italiano tagliato con l’accetta, e ha i lineamenti duri di chi ha dovuto lottare per sopravvivere, in Germania, in Belgio, sentendosi sempre uno straniero. Ma é qua che si è sentito in casa, dice con un sorriso breve come un lampo. Ha le chiavi di gran parte delle case del paese, e deve badare alla logistica dei settanta e più ospiti arrivati da tutta Italia.
Seguiamo Baran per le stradine del villaggio, tra gerani e murales, i bambini che giocano per strada, l’azzurro del mare là in fondo. Le case dove vivono le famiglie dei migranti sono semplici e colorate, con dettagli creativi. Il canyon che una volta era un ammasso di rifiuti adesso è uno spazio terrazzato che accoglie ordinate casette per api, asini, caprette, e maialini di una varietà locale. Utilizzando gli asini si cominciò anni fa a fare la raccolta dei rifiuti porta a porta. Nei laboratori artigianali, incrociando saperi locali con quelli degli immigrati, si producono ceramiche, vetro, cioccolato. Particolarmente ammirati gli aquiloni di un giovane di Islamabad, i ricami di una donna di Herat, i vasi di un artigiano di Kabul. E poi il centro medico per locali e stranieri, un frantoio oleario, diverse case per turismo sostenibile, la fattoria didattica. Tutto costruito, come uscendo dal cappello di un mago, con le risorse dei 35 euro a persona dello SPRAR, che per Lucano sono più che sufficienti per dar vita a molteplici iniziative. Abbiamo fatto cose normali, dice.
Che sono diventate un modello
L’esempio di Riace trascina altri comuni vicini: Caulonia, Stignano, Badolato, Acquaformosa. A Camini si realizza un progetto di raccolta delle olive in accordo coi proprietari terrieri che chiedono a chi li lavora una parte dell’olio prodotto, con un accordo equo.
Col tempo, la fama di Riace ha varcato i confini nazionali, facendo scuola in Europa, da Bruxelles a grandi università come quella di Cambridge. Nel 2016 Lucano è stato inserito fra le 50 persone più influenti al mondo dalla rivista “Fortune”, per aver portato avanti un “modello di integrazione che ha rigenerato il tessuto sociale della sua comunità e ravvivato l’economia”. Wim Wenders vi si ispira nel film “Il volo”, Beppe Fiorello gli dedica la prossima fiction Rai, Papa Francesco lo riceve con parole di «ammirazione e gratitudine”. Ma Lucano continua a non vantarsi. Tutto normale, dice. “Mentre molti sindaci favoriscono la cementificazione delle coste, la speculazione selvaggia che attrae la ndrangheta, e la gente accetta che alla fine del loro mandato si ritrovino con una villa al mare, qui abbiamo cercato di semplicemente tener conto di tutti, anche i più umili, come persone, partendo dai loro bisogni reali”. E quindi, anzitutto, una borsa lavoro per i migranti impegnati in un’attività, e i bonus, una moneta locale, per muovere l’economia mentre si aspettano i finanziamenti previsti.
Quando la burocrazia è una questione di vita o morte
Ma i fondi vengono interrotti dal giugno del 2016 mentre si susseguono le ispezioni della Prefettura di Reggio Calabria, (tre in due anni) a cui fa seguito un’inchiesta della magistratura per irregolarità burocratiche. La prima ispezione é accusatoria, mentre la seconda descrive l’esperienza di Riace con parole quasi poetiche, come un «Un microcosmo strano e composito che ha inventato un modo per accogliere e investire sul futuro, così importante per la Calabria”. (per la cronaca, la firma é degli ispettori Francesco Campolo, Pasquale Crupi, Alessandra Barbaro, Maria Carmela Marazzita). Ma da SPRAR e Prefettura, nonostante le promesse di rimborsi parziali, non arriva piú un euro.
Lucano riconosce di essere sempre al limite delle procedure, di usare altri criteri che non seguono le regole restrittive, se non a volte assurde della burocrazia, esponendosi quindi all’accusa di abuso in atti d’ufficio. Piú o meno come il Montalbano di Camilleri, sempre in contrasto, nella sua ricerca appassionata della veritá, con le rigide regole del pretore. Lucano per esempio ha rilasciato carte di indentitá senza fare pagare la relativa tassa a migranti e riacesi, ha pagato di tasca sua i viaggi istituzionali a Reggio Calabria, ha prolungato quanto ha potuto i permessi di permanenza dei migranti, che dopo un tot di tempo devono andar via…, “ma come facciamo a cacciare a dicembre famiglie che hanno i bambini a scuola? O neonati di sette giorni?” , si difende il sindaco.
A questo proposito, una ferita ancora aperta é il caso di Becky Moses, una ragazza nigeriana di 26 anni. Lucano le aveva prolungato al massimo il suo permesso, ma poi nel gennaio scorso Becky aveva dovuto lasciare Riace, ricacciando le lacrime. Dove andare? Non avendo alternative, finí nella rete della prostituzione e si alloggiò nella famigerata tendopoli di San Fernando, a Rosarno, dove i migranti impegnati nella raccolta delle arance sono ammassati in condizioni indegne. Pochi giorni dopo il suo arrivo, scoppiò un incendio nella tendopoli e Becky finí bruciata viva. Nessuno reclamò i suoi resti. A maggio, Domenico Lucano decise di darle almeno una dignitosa sepoltura a Riace: e Becky tornò, così, al paese dove era stata accolta umanamente, ma in una bara ricoperta di fiori.
La sfida dell’accoglienza: lo sviluppo del territorio di tutti
“La cosa paradossale, afferma Lucano, é che mentre spesso attraverso gare e bandi pubblici i migranti vengono stipati in strutture fatiscenti, con cibi guasti, senza servizi né programmi di inserimento, come nel CARA di Crotone, gestito per anni dalla criminalità, (mai fatta un’ispezione a suo tempo dalla prefettura di Locri, tutto a posto!), noi, che utilizziamo quei benedetti 35 euro a persona per valorizzare il territorio nel suo insieme, siamo sotto tiro fra ispezioni e taglio di fondi. Quando un CIE costa 120 euro al giorno!”
Appunto perché Riace dimostra che i migranti possano vivere come persone qualsiasi, con dignità, e tutto si svolge alla luce del sole, il modello Riace dá fastidio e dev’essere eliminato, secondo certi poteri locali interessati al lucro. “E’ un’operazione vergognosa che dev’essere denunciata”, afferma il presidente della regione Mario Oliverio, che si impegna a presentare entro giugno un progetto di sviluppo del territorio calabrese a lungo termine perché anche Riace sopravviva; intanto, i problemi tecnici e contabili possono essere risolti. La Calabria é una regione di frontiera, e il 70% dei comuni ha dei progetti SPRAR. Se i 400 comuni calabresi accogliessero ognuno 20 migranti, 8000 di loro potrebbero essere integrati senza problemi.
L’altra Italia che resiste e inventa
L’incontro di Riace mette in evidenza come sia pur in un clima politico che arriva a criminalizzare chi salva naufraghi in mare o chi muore di freddo sui passi alpini, c’è un’altra Italia paziente e creativa che progetta, sperimenta e realizza con efficacia l’accoglienza diffusa di piccoli gruppi di migranti, come avviene nei 12 comuni affiliati a Santorso, in provincia di Vicenza, che accolgono il 2 per mille di stranieri, o i 20 comuni della Val di Susa che accolgono 120 migranti. Il metodo migliore per vincere le diffidenze iniziali ( gli stranieri fanno paura e si sente ripetere fino alla nausea che le risorse a loro dedicate vengono tolte agli italiani poveri), é quello di fare un lavoro di informazione e sensibilizzazione nelle scuole e creare occasioni di incontro con la popolazione, da feste gastronomiche a laboratori teatrali, “biblioteche viventi” e così via. Con risultati a volte entusiasmanti, come la nascita di un “Coro Moro” di ragazzi subsahariani richiedenti asilo a Ceres, un piccolo comune montano in provincia di Torino, che si sono appassionati a cantare i canti tradizionali piemontesi anche in lingua franco provenzale, e poi hanno cominciato a scrivere e cantare, insieme a quelli, le loro storie. In questo caso il canto è diventato veicolo di integrazione, piú che tante conferenze.
E poi, bisogna eliminare all’origine il malessere diffuso, afferma fra gli altri il sindaco di Abbiategrasso, Domenico Finiguerra, di origine lucana, realizzando progetti per recuperare il patrimonio storico e agricolo esistente, creando posti di lavoro locali. Come far passare il concetto di accoglienza? Dimostrando che é possibile far star bene tutti, mettendo a disposizione beni pubblici e privati inutilizzati, da capannoni a terreni, per usi sociali. In Friuli, dove sono rimaste piccole proprietà di terre comuni, come spiega il giovane sindaco di Mereto di Tomba, Massimo Maretuzzo, è stata fatta partire la filiera del pane prodotto senza additivi chimici, in 5 ettari di terreno, e adesso si é costituito un intero Distretto di Economia Solidale. Impossibile menzionare qua tutte le iniziative presentate in questo appassionante incontro, dal mantenimento del parco naturale delle Madonie grazie ai migranti, alla produzione di arance con guadagno equo nelle cooperative di “Linea Verde”, createsi nelle aziende confiscate alla mafia. Molte di queste esperienze vengono descritte nel libro “Miserie e nobiltà. Viaggio nei progetti di accoglienza”, a cura della Rete dei Comuni Solidali RECOSOL, 2016, che vale la pena leggere.
Contrariamente a quanto comunemente si crede, i fondi per dar nuova vita a borghi, terreni abbandonati e zone depresse ci sono: da quelli ordinari per l’agricoltura, a quelli dell’ Unione Europea, in gran parte sottoutilizzati dall’Italia. Lo afferma anche Mario Cicero, sindaco di Castelbuono (Palermo), uno di quelli che si sono rimboccati le maniche invece di lamentarsi.