Incrementi e bonus mirati al posto degli aumenti in busta paga? Non è una assurdità, basta leggere con attenzione alcuni contratti nazionali. Si va definendo un nuovo assetto delle politiche contrattuali e retributive e per assecondare questa deriva arrivano puntualmente articoli di giornale, ricerche di mercato, consulenze e statistiche.
20dicembre 2017 di Federico Giusti
Alcuni dati poi si commentano da soli, i margini di profitto non sono piu’ in crescita come nel passato, i soldi statali dovranno servire per le imprese che a loro volta approfitteranno della riduzione dello stato sociale (se i soldi si destinano alla rendita e ai capitali a discapito dei redditi, alla fine arriveremo anche a tagliare il welfare e non sarà piu’ possibile mantenere il carattere pubblico della istruzione, della sanità e molti interventi sociali ai quali per decenni siamo stati abituati)per proporre lo scambio diseguale: rinuncia ad aumenti salariali in cambio di sanità e previdenza inetrativa.
- Da anni ormai sono sempre piu’ numerose le aziende che concludono accordi di secondo livello senza sostanziali aumenti ma ricorrendo a misure di welfare aziendale, ai bonus come merce di scambio per l’incremento della produttività.
- I salari sono praticamente fermi, alcune statistiche dicono che siamo in presenza di aumenti irrisori e già in numerosi settori del privato si chiudono da due o tre anni contratti di secondo livello senza aumenti reali.
- Lo stipendio base di un operaio italiano è sotto i 32mila euro (+0,2% rispetto al 2015 ma lo stipendio degli operai è in realtà assai piu’ basso delle statistiche de Il sole 24 ore) ma si gioca sui bonus per dimostrare che in termini di potere di acquisto è possibile raggiungere e superare i 35 mila euro annui attraverso incentivi e benefit di vario genere.
Quando si parla di Europa bisognerebbe avere almeno il buon gusto, se non proprio la onestà intellettuale ma forse chiediamo troppo, di confrontare i salari italiani con la media europea, fatto sta che la politica die premi e dei bonus riguarda soprattutto i dirigenti e nel loro caso determina aumenti significativi mentre a noi restano solo le briciole. L’incremento della produttività allora determina un doppio guadagno per i padroni perchè non sborsano un euro in piu’ e con la politica dei bonus avranno anche ulteriori incentivi e sgravi fiscali.
Negli ultimissimi anni è proprio l’Italia il paese Ue ad avere adottato le revisioni piu’ profonde in materia di salari e dinamiche contrattuali, ad avere accelerato sulla strada dello scambio diseguale prima menzionato, a rappresentare insomma un modello da seguire anche per altri paesi.
E dietro alla politica degli incentivi e della produttività crescono le disuguaglianze, e dove non arrivano gli incentivi o i bonus, abbiamo la produttività e il merito, la corresponsione di quote salariali crescenti e di tutto il personale solo a favore di una minoranza, tanto per dividere sul nascere ogni rivendicazione comune.
In questo contesto di lotta di classe dei padroni contro i lavorativi bisogna inquadrare i bonus, gli incentivi e soprattutto gli strumenti della sanità integrativa, le assicurazioni e i piani pensionistici i beni e i servizi di welfare che da anni beneficiano di sgravi fiscali.
Altro aspetto importante è l’aumento degli stipendi dei managers e la forbice salariale e sociale tra chi diventa sempre piu’ ricco e una parte crescente della popolazione vittima del progressivo impoverimento.
Ma anche in questo caso, sono proprio i bonus, le buone uscite e gli incentivi a determinare parte importante della dinamica salariale e premiale, un modello che nei dirigenti e tra i managers teoricamente potrebbe forse avere un senso che invece non ha tra chi porta a casa stipendi da fame con cui non arriva a fine mese e si vedrà costretto a competere con il collega di lavoro per dividersi briciole.