12luglio 2017 da Campagna territoriale di resistenza alla guerra/area Pisa-Livorno
Camp Darby fa parte del sistema delle basi Usa in Italia, le cui dimensioni sono descritte nel rapporto ufficiale del Pentagono Base Structure Report 2015: le Forze armate statunitensi posseggono nel nostro paese 1537 edifici, con una superficie di oltre 1 milione di metri quadri, e hanno in affitto o concessione altri 796 edifici, con una superficie di quasi 900 mila m2. Si tratta, in totale, di oltre 2300 edifici con una superficie di circa 2 milioni di metri quadri.
- La base logistica di Camp Darby – inaugurata nel 1952, dopo che il governo De Gasperi aveva stipulato con quello statunitense un accordo segreto cedendogli una vasta area della pineta di Tombolo – costituisce il maggiore arsenale che rifornisce le forze terrestri e aeree statunitensi in Europa, Medioriente e Africa.
- Nei suoi 125 bunker sono stoccati proiettili di artiglieria, bombe per aerei e missili in un numero che può essere stimato in oltre 1,5 milioni. Non si può escludere che, tra le armi aeree stoccate a Camp Darby, vi siano state e possano esservi bombe nucleari.
- Insieme alle munizioni per artiglieria sono stoccati nella base carrarmati M1, Bradleys, Humvees e altri veicoli militari in un numero stimato in oltre 2500, insieme a oltre 11000 materiali militari di vario tipo.
Camp Darby è l’unico sito dell’Esercito Usa in cui i carri armati e altri veicoli da combattimento sono preposizionati insieme alle munizioni. Nella base vi è l’intero equipaggiamento di due battaglioni corazzati e due di fanteria meccanizzata, che può essere rapidamente inviato in zona di operazioni attraverso il porto di Livorno e l’aeroporto di Pisa. Sono inoltre stoccate nella base centinaia di griglie (pannelli d’acciaio perforati) che, trasportate nel teatro di operazioni, possono essere assemblate creando rapidamente piste per il decollo e l’atterraggio di cacciabombardieri. Camp Darby ha fornito la maggior parte delle armi (mezzi corazzati, proiettili d’artiglieria, bombe e missili per aerei) usate nelle due guerre a guida Usa contro l’Iraq, nel 1991 e 2003; ha fornito gran parte delle bombe e missili per aerei usati nella guerra Usa/Nato contro la Jugoslavia nel 1999 e in quella contro la Libia nel 2011.
Le operazioni segrete della base
- La funzione della base non è solo quella di rifornire di armi le forze statunitensi. Dalle inchieste dei giudici Casson e Mastelloni emerge che Camp Darby ha svolto sin dagli anni Sessanta la funzione di base della rete golpista costituita dalla Cia e dal Sifar nel quadro del piano segreto «Gladio». Camp Darby è una delle basi Usa/Nato che – scrive Ferdinando Imposimato, presidente onorario della Suprema Corte di Cassazione – hanno fornito gli esplosivi per le stragi, da Piazza Fontana a Capaci e Via d’Amelio.
Basi in cui «si riunivano terroristi neri, ufficiali della Nato, mafiosi, uomini politici italiani e massoni, alla vigilia di attentati».
- Camp Darby ha a che vedere anche con la tragedia del traghetto Moby Prince, entrato in collisione la sera del 10 aprile 1991, nella rada del porto di Livorno, con la petroliera Agip Abruzzo. Muoiono in 140, dopo aver atteso per ore invano i soccorsi. Quella sera nella rada di Livorno c’è un intenso traffico di navi militari e militarizzate degli Stati uniti impegnate nel trasbordo di armi Usa, parte delle quali viene segretamente inviata in Somalia, Croazia e altre zone, non esclusi depositi di Gladio in Italia. Quando avviene la collisione, chi dirige l’operazione – sicuramente il comando Usa di Camp Darby – cerca subito di cancellare qualsiasi prova.
Catastrofe sfiorata nel 2000
Nell’agosto 2000 a Camp Darby si rasenta la catastrofe. La prova viene fornita da una rivista ufficiale dell’Aeronautica statunitense, Air Force Civil Engineer. Nell’edizione della primavera 2001, il capitano Todd Graves fornisce un dettagliato resoconto (dal titolo Moving Munitions) di quanto avvenuto a Camp Darby. A causa del cedimento dei soffitti di otto depositi di munizioni, si crea una situazione di emergenza: in dodici giorni, nell’agosto 2000, si devono rimuovere con robot telecomandati, data la pericolosità dell’operazione, oltre 100 mila munizioni, con un peso netto esplosivo di oltre 240 quintali. Senza che le autorità civili siano allertate. Essendo quella limitrofa alla base una zona di villeggiatura, vi è in agosto una popolazione doppia o tripla. Ignara del pericolo, essa viene esposta al rischio di catastrofe in caso di esplosione accidentale delle munizioni rimosse. Quando invece, per rimuovere una vecchia bomba della Seconda guerra mondiale trovata in qualche campo, si evacua la popolazione da tutta la zona circostante.
Il “dimezzamento” della base
Nel 2015 è stato annunciato che la base di Camp Darby sarebbe stata «dimezzata» e che la parte lasciata libera sarebbe stata restituita all’Italia. È stata di conseguenza diffusa la falsa notizia che la base stesse perdendo di importanza o fosse perfino destinata alla chiusura. L’annunciata riduzione dell’area della base non significa che la sua capacità verrebbe ridotta. Il collegamento via acqua col porto di Livorno è stato potenziato dai lavori effettuati dagli enti locali sul Canale dei navicelli, allo scopo dichiarato di dare impulso ai cantieri che fabbricano yacht (in realtà in crisi e in attesa di qualche compratore straniero). Inoltre, nel limitrofo interporto di Guasticce, sullo Scolmatore dove sono stati effettuati lavori per accrescerne la navigabilità, si può creare un indotto per lo stoccaggio di materiali logistici di Camp Darby. In tal modo si può liberare, nella base, spazio da destinare agli armamenti. Per di più, l’area che il comando Usa dovrebbe «restituire all’Italia» andrebbe al Ministero della difesa, che la destinerebbe a funzioni di supporto di Camp Darby e alla proiezione di forze: l’aeroporto militare di Pisa è stato trasformato in Hub aereo nazionale da cui transitano gli uomini e i materiali destinati ai vari teatri bellici, e sempre a Pisa è stato costituito il Comando delle forze speciali dell’esercito. Il vero scopo dei lavori effettuati sul Canale dei navicelli emerge da uno studio della Provincia di Livorno:
«Il Canale dei navicelli riveste una notevole importanza strategica militare, per il fatto di attraversare la base militare di Camp Darby, costituendo una componente determinante per i traffici della base».
Allo stesso tempo è stata allargata e migliorata la darsena interna alla base, permettendo il transito e l’inversione a U di due imbarcazioni alla volta per il trasporto di armi dal porto di Livorno a Camp Darby e viceversa.
Camp Darby nel “grande nastro trasportatore oceanico” di armi
Dal marzo 2017 è iniziato un collegamento regolare tra Livorno e i porti di Aqaba in Giordania, Gedda in Arabia Saudita e altri scali mediorientali, effettuato mensilmente dalla nave «Liberty Passion» e dalle sue consorelle «Liberty Pride» (Orgoglio di Libertà) e «Liberty Promise» (Promessa di Libertà). Sono modernissime, enormi navi statunitensi di tipo Ro/Ro (progettate per trasportare veicoli e carichi su ruote): lunghe 200 metri, dotate ciascuna di 12 ponti con una superficie totale di oltre 50000 m2, sufficienti al trasporto di un carico equivalente a 6500 automobili. Nel suo viaggio inaugurale – riportano documentate fonti (AsiaNews e altre) – la «Liberty Passion» ha trasportato 250 veicoli militari e alti materiali di Camp Darby dal porto di Livorno a quello giordano di Aqaba dove, attraversato il Canale di Suez, è arrivata il 7 aprile. Queste navi appartenenti alla compagnia statunitense «Liberty Global Logistics» – spiega un comunicato dell’Amministrazione marittima Usa (4 marzo 2017) – fanno parte del «Programma di sicurezza marittima» che, attraverso una partnership tra pubblico e privato, «fornisce al Dipartimento della Difesa una potente, mobile flotta di proprietà privata, con bandiera ed equipaggio statunitensi». Queste e altre navi (circa 60 sono a disposizione del «Programma di sicurezza marittima») hanno ciascuna «la capacità di trasportare centinaia di veicoli da combattimento, tra cui carrarmati, elicotteri ed equipaggiamenti per le unità militari». Le armi di Camp Darby, che vengono trasportate mensilmente da Livorno in Medioriente, vengono usate dalle forze statunitesi e alleate nelle guerre in Siria, Iraq e Yemen.
Camp Darby entra così a far parte di un «grande nastro trasportatore oceanico» di armi, che collega i porti statunitensi a quelli mediterranei, mediorientali e asiatici, come mostra questa carta delle rotte seguite dalle navi della «Liberty Global Logistics»
Il progetto della nuova ferrovia per potenziare il collegamento tra Camp Darby, il porto di Livorno e l’aeroporto di Pisa
In seguito all’accresciuto transito di armi da Camp Darby, non basta più il collegamento via canale e via strada della base col porto di Livorno. È stato quindi deciso di realizzare una nuova linea ferroviaria che, dalla Stazione di Tombolo, porterà ad un grande terminal all’interno di Camp Darby. La nuova linea, integrata da un ponte girevole sul Canale dei navicelli, permetterebbe il transito di due treni al giorno. Verrebbe in tal modo potenziato anche il collegamento tra la base e l’hub aeroportuale di Pisa. Il costo della nuova ferrovia, previsto in 45 milioni di dollari, sarà probabilmente a carico non solo degli Stati Uniti, ma della Nato e quindi anche dell’Italia. La realizzazione di questa nuova infrastruttura comporta un forte impatto ambientale: circa 1000 alberi abbattuti e lo sconvolgimento di un vasto ecosistema all’interno del Parco di San Rossore. Il territorio di Pisa e Livorno verrebbe ulteriormente militarizzato. Crescerebbero allo stesso tempo i rischi per i suoi abitanti, dovuti al transito di treni carichi di armi ed esplosivi in zone densamente popolate e nel porto di Livorno.
Il porto nucleare di Livorno, la possibilità di incidente nucleare
Quello di Livorno è uno dei porti in cui possono attraccare navi a propulsione nucleare e anche con armi nucleari a bordo. Gli altri porti nucleari sono quelli di Augusta, Brindisi, Cagliari, Castellammare di Stabia, Gaeta, La Maddalena, La Spezia, Napoli, Taranto, Trieste, Venezia. Le unità navali a propulsione nucleare sono sottomarini e portaerei statunitensi e Nato (inglesi e francesi). Gli incidenti nucleari di natanti sono tutt’altro che rari (per la Marina statunitense Hans Kristensen, “Declassified: US nuclear weapons at sea”, 3 febbraio 2016) e per questo la popolazione delle aree limitrofe ai porti nucleari è definita “popolazione effettivamente interessata dall’emergenza radiologica” e per essa sono previste “misure specifiche di protezione. Qualora sopravvenga un caso di emergenza radiologica”, è disposto un “piano di emergenza”, compresa la relativa “informazione” (Decreto Legislativo del Governo 17 marzo 1995 n° 230, modificato poi dal dal D. Lgs. 26 maggio 2000 n. 187, dal D. Lgs. 26 maggio 2000 n. 241 e dal D. Lgs. 9 maggio 2001 n. 257.)
Per il porto di Livorno esiste ed è continuamente aggiornato un “piano di emergenza” (Lettera della Prefettura di Livorno, 17 gennaio 2017, a firma del Dirigente Parascandola), che però è di tipo “classificato” per cui “non è consentita la diffusione all’esterno, se non per la parte relativa all’informazione della popolazione”.
I gravi rischi per la popolazione di una vasta area. Della “informazione della popolazione” non c’è nessuna traccia, non conosce neanche quale sia l’area “effettivamente interessata dall’emergenza radiologica”.
Dal PES (Piano di Emergenza Esterna) relativo a La Maddalena, che in caso di incidente prevede che “la popolazione dovrebbe essere allontanata oltre un raggio di 50 chilometri dal luogo dove è avvenuto, sempre entro 60 minuti dall’annuncio dell’emergenza” (Massimo Zucchetti, “Sosta di unità navali a propulsione nucleare nei porti italiani: dall’esame dei Piani di emergenza esterna una semplice conclusione”, in Il Male Invisibile, Sempre Più Visibile, a cura di Massimo Zucchetti, Scienziate e Scienziati Contro la Guerra, Odradek, pp. 253-58) si può pensare ad un raggio di km. 50, per cui ne farebbero parte non solo Livorno e Pisa ma anche Lucca. In analogia ad altre situazioni di funzionamento di reattori di tipologia PWR ( Pressurized Water Reactor) in impianti di produzione di energia, anche se con uranio a minor tasso di arricchimento e con ovvie protezioni in cemento precompresso di gran lunga maggiori – si può pensare a un raggio dal luogo dell’incidente che va da un minimo di km. 20 a un massimo di km. 100 (Doel e Tihiange, in Belgio). Tanto meno, in caso d’incidente che comporti fuoriuscita di sostanze radioattive allo stato aeriforme, la popolazione sa come saturare la tiroide entro le 6 ore dall’incidente così da non farle assorbire iodio 131.
Né pisani e livornesi sanno se il PES Livorno preveda un allontanamento sia pure temporaneo di qualche gruppo della popolazione, come il PES La Spezia (M.Zucchetti, op.cit.) oppure e comunque se devono cercare riparo al chiuso, sigillando con nastro adesivo porte e finestre e dove occorra con panni umidi. Nulla si sa anche sull’annuncio dell’emergenza, con quali mezzi e modalità sarà dato in caso di incidente, così che la “popolazione effettivamente interessata dall’emergenza radiologica” per il “porto nucleare” di Livorno non è neppure messa in grado di riconoscerlo.
L’Hub aereo nazionale delle Forze armate a Pisa. Il ruolo strategico dell’aeroporto militare di Pisa
Questo aeroporto, che prima aveva un ruolo tattico circoscritto al territorio nazionale, ha assunto un ruolo strategico, proiettato nei teatri operativi fuori dal territorio nazionale. Esso è divenuto Hub nazionale delle Forze arnate, ossia lo snodo aeroportuale da cui transitano gli uomini e i mezzi per le missioni militari all’estero. Dall’Hub nazionale di Pisa transitano anche materiali militari della limitrofa base di Camp Darby.
Nel Programma pluriennale di A/R n. SMD 06/2010, presentato alle Commissioni Difesa del Senato e della Camera, esso viene definito «Hub aereo nazionale dedicato alla gestione dei flussi, via aerea, di personale e di materiale dal territorio nazionale per i teatri operativi, e viceversa, con tempestività e efficacia». Nella relazione presentata alla Commissione Difesa del Senato, il 12 ottobre 2010, viene così descritto: «Tale struttura di grandi dimensioni dovrà essere adeguatamente connessa con le principali vie di comunicazione stradale, ferroviaria e navale, gestire la ricezione, lo stoccaggio e lo smistamento dei materiali, preparare e curare l’allestimento del carico, ricevere e gestire vettori di trasporto aereo di diverse capacità e caratteristiche, ed essere in grado di gestire contemporaneamente più operazioni di imbarco e sbarco di personale e materiali».
Come viene presa la decisione
L’annuncio viene fatto il 2 agosto 2010 dal portavoce della 46a Brigata aerea. Ecco come Il Tirreno (3 agosto) riporta la notizia: «L’aeroporto militare Dall’Oro diventerà l’Hub nazionale delle forze armate. Pisa sarà il punto di riferimento per tutte le forze armate che avranno bisogno di spostarsi per via aerea per tutte le missioni nei teatri internazionali. Certamente, dovrà crearsi una sorta di cittadella all’interno dell’aeroporto militare. Sarà costruita anche una struttura ricettiva che potrà movimentare fino a 30 mila uomini perfettamente equipaggiati, in un arco di tempo di almeno un mese». Il sindaco Marco Filippeschi esprime subito, pubblicamente, il suo appoggio al progetto dell’Hub militare.
Ecco come Il Tirreno dell’8 agosto 2010 riporta, citandole tra virgolette, le sue dichiarazioni: «Per la nostra città non può che essere un onore accogliere le strutture che consentiranno all’aeroporto militare di essere il punto di riferimento, logistico e di volo, per le missioni di pace che le nostre forze armate saranno chiamate a svolgere. Senza sottovalutare anche le possibili ed interessanti ricadute occupazionali».
Il Sindaco di Pisa esprime così il pieno appoggio della città al progetto dell’Hub militare senza aver richiesto il parere del Consiglio Comunale, né tanto meno consultato la cittadinanza. E lo esprime ancora prima che il progetto sia presentato in Parlamento. Successivamente, nel Consiglio Comunale del 4 novembre 2010, il Sindaco sostiene che si è trattato di un «equivoco»: spiega di essere orgoglioso non dell’opera in cemento (di cui, dice, saranno orgogliosi i militari) ma della presenza delle istituzioni militari a Pisa e del fatto che partono da qui le missioni di pace e solidarietà.
Nella stessa seduta del Consiglio Comunale, l’assessore all’urbanistica Fabrizio Cerri ammette che «nessuno di noi ha visto un progetto», né «una cartografia in grado di esprimere un progetto compiuto».
Il Parlamento italiano viene chiamato a pronunciarsi sull’Hub di Pisa solo dopo che esso è stato annunciato e illustrato, il 2 agosto 2010, dal portavoce dell’Aeronautica militare, e dopo che questa ha pubblicato, il 3 agosto, un avviso di gara per la fornitura di mezzi, equipaggiamenti e sistemi per «il costituendo Hub aereo nazionale presso l’aeroporto militare di Pisa». L’Aeronautica militare, dunque, scavalca il Parlamento. Il Ministro della Difesa presenta infatti il programma dell’Hub in parlamento solo il 30 settembre 2010. L’Atto di governo relativo all’Hub militare, dopo essere stato approvato dalle Commissioni Difesa del Senato e della Camera, diventa esecutivo con la firma del Decreto l’11 novembre 2010.
Le implicazioni dell’Hub per il territorio circostante
Un progetto di tale rilevanza viene imposto all’intera cittadinanza senza che essa sia stata minimamente consultata. Anche se i lavori interni all’aeroporto militare non necessitano dell’autorizzazione degli Enti locali, è evidente che la realizzazione dell’Hub militare ha tutta una serie di ripercussioni sul territorio circostante, ossia nell’area di competenza degli Enti Locali. La decisione di realizzare a Pisa l’Hub militare viene presa senza che sia stato fatto alcuno studio sulle sue implicazioni per il territorio di Pisa/Livorno, anzitutto sull’impatto ambientale. Impatto che aumenta con il crescere del traffico aereo. L’aumento dei voli, in seguito alla realizzazione dell’Hub militare, comporta allo stesso tempo un aumento del rischio di incidenti, come quello verificatosi il 23 novembre 2009 quando un C-130J, modificato in aereo-cisterna, precipita subito dopo il decollo su una linea ferroviaria nell’area del popoloso quartiere di San Giusto. L’incidente, in cui muore l’intero equipaggio, avrebbe potuto provocare una strage se l’aereo fosse caduto sull’abitato o su un treno in transito. Occorre considerare inoltre che la presenza dell’Hub militare nazionale rende Pisa un obiettivo strategico di primaria importanza, accresciuta dalla presenza della limitrofa base Usa di Camp Darby e del porto di Livorno da cui transitano le armi statunitensi.
Il Comando delle forze speciali a Pisa. Il ruolo delle forze speciali
Alla caserma Gamerra di Pisa, sede del Centro addestramento paracadutismo, ha sede il Comando delle forze speciali dell’esercito (Comfose), il primo del suo genere in Italia. Il Comfose riunisce sotto un comando unificato il 9° Reggimento d’assalto Col Moschin e il 185° Reggimento acquisizione obiettivi Folgore di stanza a Livorno, il 28° Reggimento comunicazioni operative Pavia di stanza a Pesaro e il 4° Reggimento alpini paracadutisti Ragers con sede presso Verona. A questi si aggiungerà il 3° Reggimento elicotteri per operazioni speciali. Le forze speciali vengono sempre più impiegate nelle «guerre coperte». Infiltrate nottetempo in territorio nemico senza essere viste, individuano gli obiettivi da colpire, li eliminano con un‘azione fulminea paracadutandosi dagli aerei o calandosi dagli elicotteri, quindi si ritirano senza lasciare traccia salvo i morti e le distruzioni.
La ragione della scelta di Pisa quale sede del Comfose
Il Comando delle forze speciali dell’esercito ha sede a Pisa perché l’aeroporto militare della città è «Hub aereo nazionale dedicato alla gestione dei flussi di personale e di materiale dal territorio nazionale per i teatri operativi, e viceversa, con tempestività e efficacia» (come lo definisce il Programma pluriennale dello Stato maggiore della difesa approvato dalle Commissioni Difesa del Senato e della Camera). Il Comfose, spiega il generale che lo comanda, «è nato per assicurare la disponibilità immediata di uno strumento dedicato, idoneo ad assolvere l’intero spettro delle operazioni speciali». In altre parole, una volta addestrati per «essere in grado di sopravvivere e combattere in ogni ambiente operativo contro avversari estremamente determinati e insidiosi», gli specialisti delle forze speciali possono essere immediatamente proiettati attraverso l’hub aereo di Pisa nei vari teatri bellici.